Vivere e comprendere: come l’Ecobiopsicologia “abbraccia” la vita
Di Francesca Violi – Psicologa, Psicoterapeuta specializzata presso Istituto ANEB. Terapeuta EMDR. Counselor Psicosomatico e Biografico. Autrice di diversi articoli e scrittrice.
Abstract: Vivere, Comprendere, Immaginare, Narrare e Riflettere. Cinque movimenti per “abbracciare” la vita tra Biografia ed Ecobiopsicologia. La vita come unica maestra e il pensiero ecobiopsicologico come sguardo per coglierne i movimenti a partire dalla nostra unicità e complessità.
È così che lo “sguardo” del terapeuta ecobiopsicologico – non solo lo sguardo della vista ma lo “sguardo” di tutto il corpo-mente del terapeuta – abbraccia, collega, crea connessioni e legami, si libera attraverso lo spazio e il tempo, con leggerezza e precisione. Il suo sguardo è periferico, panoramico perché non sono solo gli occhi a guardare ma l’intero suo essere nella sua presenza sensoriale e immaginativa.
L’articolo è sintesi della relazione per la XIV edizione del Festival della Complessità 2024 dal titolo Complessità in Pratica: Vivere, Decidere, Agire, 28-29 giugno, San Marco D’Alunzio (ME).
Pubblicato in https://www.aneb.it/vivere-e-comprendere/
Vivere
«Quando la Vita diviene la prima e la maggiore delle Arti, tutte le altre non sono che un’introduzione meno nobile, e anche la scienza se vuole penetrare l’intima essenza delle cose deve essere in grado di suggerire emozioni e stati di animo, […] deve diventare un’Arte poetica, perché la Vita è soprattutto musica, in cui armonicamente si fondono le leggi matematiche del suono e le impressioni indefinite dell’anima» (Frigoli, 2024, pp. 16-17). La vita dunque come vera maestra.
Cosa sappiamo oggi della vita e dell’universo? Le esplorazioni quantistiche hanno dimostrato che esiste una Sorgente nell’universo da cui scaturiscono le informazioni. Questa Sorgente è costituita da una matrice (vuoto quantistico) in cui particelle virtuali in continuo fermento danno origine all’universo manifesto. Oggi, infatti, si pensa che i principi fondamentali dell’universo fisico siano descrivibili in termini di eccitazioni vibrazionali o forme d’onda in-formative che pervadono tutto l’universo manifesto. Per descrivere questa sorgente di «vuoto quantistico», che in realtà è un pieno di particelle fluttuanti, si parla di Campo Akashico derivando tale termine dal sanscrito Ākāśa, per definire lo «spazio omnipervasivo» da cui deriva tutto ciò che percepiamo, e a cui tutto ritorna. La comprensione del campo Akashico o Campo A rivela come l’universo è stato in-formato, ovvero come ha assunto la propria forma.
Tutte le strutture materiali dell’universo, tutte le sue forme concrete, sono considerate eccitazioni intrecciate (entangled) dello stato fondamentale di questa matrice cosmica. I sistemi che appaiono come oggetti composti di materia, si manifestano localmente nello spazio-tempo ordinario, ma in realtà sono configurazioni intrinsecamente intrecciate all’interno di questa matrice.
L’in-formazione[1] che governa le configurazioni dell’energia strutturata nello spazio e nel tempo, ovvero le singole forme dell’universo, è di natura olografica. I sistemi viventi in questa prospettiva sono configurazioni autonome di ordine superiore di energia in-formata, che nascono nell’universo quando sono disponibili ambienti fisico-chimici favorevoli. La realtà non sarebbe altro che un gigantesco ologramma che cambia in continuazione tramite un «olomovimento» al quale il nostro Sistema Nervoso Centrale è connesso tramite la capacità di decodificare i «fasci di frequenze» in-formativi provenienti dai cinque sensi.
La biologia evoluzionistica, poi, nel considerare che ogni forma vivente presenta uno schema identico, quello di rispondere alle leggi dell’«autopoiesi» e della «cognizione», specifica una conseguenza teorico pratica importantissima, che la mente è insita nella materia ad ogni livello in cui si manifesta la vita, e nel caso dell’uomo sin nelle sue cellule, organi e apparati, al di là del Sistema Nervoso Centrale. Questi processi di cognizione periferica potrebbero essere assimilati al concetto di inconscio collettivo studiato dalla psicologia analitica junghiana (Frigoli, 2013), tanto che un noto scienziato come Joseph Le Doux non esita ad affermare «che cosa sono i processi inconsci? In realtà includono tutto ciò che il cervello fa, dal mantenimento della frequenza del battito cardiaco, dal ritmo respiratorio, dalle contrazioni dello stomaco, dalla postura, al controllo dei vari aspetti della vista, dell’olfatto, dell’agire, del sentire, , del parlare, del valutare, del giudicare, del vedere, dell’immaginare» (Le Doux, 2002, p.17).
Comprendere
Dal verbo latino prehendere cum, col significato di tenere insieme e riorganizzare, contenere in sé, racchiudere, includere, afferrare. “Abbracciare” se vogliamo usare una metafora che nella forma del cerchio aperto tenga insieme la multidimensionalità della vita. Immaginiamo per un attimo il gesto dell’abbracciare.
All’inizio apriamo le braccia arrotondandole, mimando un cerchio aperto in un arco frontale, ad accogliere ciò che arriva, ciò che c’è. Poi stringiamo a noi lievemente l’Alterità, chiudendo momentaneamente le braccia, tenendo insieme dentro di noi tutto l’altro, avvicinandolo, la portiamo vicino al cuore. Poi dopo quel tempo in cui abbiamo la possibilità di tenerlo vicino, sentirlo, respirarlo, conoscerlo nell’intimità del tocco, poco dopo, di nuovo le braccia si riaprono e lasciano andare. Rimangono con noi tutte le in-formazioni di quell’incontro. L’abbraccio è reciproco. Due alterità si abbracciano. Di nuovo di fronte ad ogni Alterità, il cerchio si apre in un movimento che è un respiro – inspiro porto dentro, espiro, porto fuori – che è un battito, un istante.
La complessità considera i fenomeni Natura-Uomo-Universo non come modelli teorici chiusi, governati da leggi precise, ma come modelli aperti che richiedono «di pensare senza mai chiudere i concetti, di spezzare le sfere chiuse, di ristabilire le articolazioni fra ciò che è disgiunto, e sforzarsi di comprendere la multidimensionalità, di pensare con la singolarità, di non dimenticare mai le totalità integratrici» (Morin, 2007, p. 35).
Ecco che l’immagine dell’abbraccio diventa nelle parole di Morin un abbraccio, non solo fisico, ma soprattutto una predisposizione mentale alla vita.
Il comprendere dunque ha a che fare, direbbe l’Ecobiopsicologia, con l’Intelligenza del Cuore (Breno, 2024, II Congresso Nazionale di Ecobiopsicologia), Corbin afferma che per affrontare lo studio dell’anima occorre che il pensiero del cuore si apra alla ricerca di una dimensione specifica, qu
ella data dalla potenza immaginativa. Definisce questa potenza del cuore attraverso la parola himma. La himma, come spiega Corbin, è assai affine alla parola greca enthymesis, che esprime la possibilità di dare realtà alle figure dell’immaginazione, evidenziando la loro dimensione di creature autentiche e non certo fabbricate da noi. La filosofia sottesa alla himma è dettata da un philos (= amore) che nasce nel cuore – ovvero la materia della nostra anima – e sottende l’idea che il nostro cuore è un cuore che pensa in modo immaginativo.
Immaginare
È una facoltà della mente, insieme alle altre facoltà quali memoria e ragione. Quando parliamo di Immaginazione ci riferiamo alla rêverie e coscienza aurorale di Bachelard. «Il subconscio mormora costantemente, ed è ascoltando questi mormorii che si ascolta la verità» (Bachelard, 2007).
Ci riferiamo allo Stato di Mag dei Zoroastriani, che corrispondeva a uno stato di essere «accentuatamente attivo», provocato consapevolmente mediante una pratica precisa sintonica alle relazioni analogiche fra i piani differenti della realtà, in cui il praticante non aveva attenuazione di coscienza o di volontà, ma soltanto una spinta propulsiva interiore di eccitazione della potenza del cuore.
Ci riferiamo alla Vera Imaginatio e alla pratica dell’Immaginazione Attiva di Jung, per il quale le immagini sono Immagini «con vita propria e l’immaginazione un atto che crea con il reale e sul reale» (Jung, 1997, p. 176).
Dunque immaginiamo il momento del concepimento. Nel buio una scintilla, seguita da incessanti mormorii, generanti la vita, generati dalla vita, in cui tre forze danzano a dar forma a un corpo: Sé[2], Ambiente[3] e Ereditarietà[4]. Danzano e nel tempo tessuti, organi, apparati prendono forma, si auto-organizzano sulla spinta della vita. La danza continua e gli organi continuano a darsi forma fino a successive tappe, come punti che compongono una retta, tappe inseparabili nel continuum una dall’altra, separate solo dalla mente analitica nel suo sforzo di cogliere la vita. Ecco che a due-tre anni, momento in cui anche il Sistema Nervoso Centrale termina la sua maturazione con l’emisfero sinistro, accade un evento unico, un punto di non ritorno, un’altra scintilla. Il bambino che all’inizio è un grande organo di senso immerso nel tutto, tra i due e i tre anni, dice per la prima volta “io”, atto che avviene in concomitanza con la verticalità e la liberazione della mano. Nasce così la coscienza riflessiva, propria dell’essere umano. Il pensiero e il linguaggio iniziano il loro sviluppo sostenuti dall’immaginazione. Nasce la memoria.
Narrare
«Attraverso la vita si deve arrivare alla narrazione» (Zoja, 2023, p. 120). Questa citazione di Zoja, psicoanalista e sociologo italiano, a mio avviso sintetizza pienamente come la narrazione sia un frutto della vita stessa.
Se definiamo il termine “Complessità”, che deriva da complector: etimologia: dal latino cum e plèctere ovvero intrecciare, tessere insieme, balza subito all’occhio come termini quali tessuto, intreccio, tessere, intrecciare, siano parole anche della narrazione, parole della vita.
«Potremmo dunque dire che complesso è qualcosa di intrecciato più volte. Complessità evoca una pluralità di componenti, ma anche un’idea di unità: è quasi un ossimoro» (Ceruti, Parisi, 2013), Ceruti, filosofo protagonista dell’elaborazione del pensiero complesso, con queste parole ci presenta il tema dell’unicità e della pluralità, dell’unità e della molteplicità, delle multidimensionalità dei sistemi complessi, dei sistemi viventi.
È allora che nella narrazione della nostra storia biografica, nella soggettività e nell’unicità di ognuno di noi che si racconta e si narra è possibile ritrovare la complessità del mondo, della natura, della vita. La narrazione, differisce dalla semplice comunicazione, in quanto è ricca di elementi salienti emotivi, di viva esperienza e di corporeità. Vediamo allora come la narrazione sia alla base del nostro sviluppo umano e come la frase inziale di Zoja trovi conferma nelle parole di Daniel Stern, psichiatra e psicoanalista statunitense, fra i principali studiosi nel campo dello sviluppo psicologico infantile.
Secondo il modello di Stern, già nei primi mesi di vita il bambino si rapporterebbe attivamente alla realtà ricavando, dalle precoci e isolate stimolazioni sensoriali che riceve, un emergente senso di sé che andrebbe a strutturarsi e consolidarsi negli anni successivi all’interno della relazione con la madre. Oggi sappiamo che questo processo inizia ben prima, dal concepimento. Per il bambino, dice Stern, il corpo è il primo punto della conoscenza di sé tramite il quale e con il quale costruisce, in relazione con l’ambiente, il senso di sé che egli articola in quattro passaggi: 1. Sé emergente (dalla nascita fino ai 2 mesi, il senso del sé deriva dal collegamento di esperienze isolate relative al corpo, alle azioni e dell’esperienza che il bambino fa di tale processo); 2. Sé nucleare (dai 2 ai 7 mesi, occorre che il bambino compia una serie di esperienze, si sperimenta autore delle proprie azioni, si sente come un’entità fisica interna, sperimenta stati interni e in sintonia con l’adulto, sperimenta il senso della durata e della memoria); 3. Sé soggettivo (dai 7 ai 15 mesi, il bambino scopre che l’altro ha sentimenti, motivazioni, oggetti e intenzioni. Quando scopre che anche gli altri possono avere uno stato emozionale simile al suo è in grado di sperimentare l’intersoggettività; questo riguarda 3 aree dell’esperienza: compartecipazione dell’azione, compartecipazione delle interazioni, compartecipazione degli stati affettivi); e infine 4.Sé verbale o narrativo (dai 15 ai 18 mesi, acquisizione del linguaggio, il senso del sé e dell’altro acquista nuove caratteristiche).
Il Sé narrativo è base del senso di sé che si stabilizza in quel nominarsi in prima persona di cui abbiamo detto prima. La narrazione diventa la misura partecipativa dell’uomo alla vita stessa. Una narrazione che pone le basi nell’immaginazione e nel pensiero simbolico di Piaget, in cui il bambino attraverso il gioco e l’esperienza immaginativa del corpo sviluppa via via la capacità immaginativa stessa, base imprescindibile per la parola e la narrazione di sé.
«Tutto ciò che può essere immaginato è reale» (Pablo Picasso)
Lo sviluppo della capacità immaginativa legata al corpo, al gioco, all’esperienza del bambino del mondo e delle relazioni, è la base per la narrazione.
Riflettere
Nella nostra storia si riflette la storia del mondo, dell’universo. Il corpo dell’uomo è mandala simbolo dell’universo, microcosmo nel macrocosmo. Come in uno specchio, io guardo e vedo la mia immagine enantiomorfa, nel movimento circolare opposto, colgo la polarità che mi completa. Nella mia storia vedo la storia dei miei famigliari, la storia della mia nazione, la storia della mia terra, la storia della natura. Nel mio narrare autobiografico lo sguardo può farsi panoramico, gli intrecci si dipanano, i nodi e gli snodi si evidenziano e lo sguardo diventa sferico, olografico intorno a me, aprendo squarci nell’infinito, oltre il mio essere.
Il tema della biografia (Violi, 2023, pp. 75-82), dal greco bio vita e graphos scrittura, riguarda ognuno di noi. Non si tratta solo di un interesse per la propria vita, per il proprio destino, ma anche di un desiderio di comprendere le forme sorprendenti e diverse attraverso le quali si dispiega la vita degli altri, dell’Universo. La conoscenza di sé e la conoscenza del mondo sono, come dicevamo, interconnesse in maniera intrinseca e imprescindibile.
La nostra bio-grafia contiene in sè, psicosomaticamente parlando, la biografia delle piante, degli animali, dei minerali, la biografia della Terra e dell’Universo, racconta e svela quel profondo e inscindibile legame tra microcosmo e macrocosmo, disegnata dalla continuità dei ritmi e dei rapporti analogici. L’ontogenesi ricapitola la filogenesi direbbe Ernst Haeckel, ad aprire domande e riflessioni sul nostro sviluppo e il parallelismo con lo sviluppo filogenetico della vita.
Ogni biografia è un fatto personale e collettivo, un fatto sociale. In ogni biografia personale possiamo vedere l’intreccio, l’entanglement della vita e vedere come il nostro divenire è direttamente intrecciato e interdipendente al divenire degli Altri, del Mondo, della Natura.
Duccio Demetrio ci parla infatti di “molteplicità dell’Io narrante”, in quello che lui definisce «la rivelazione di essere stati molti io. » (Demetrio, 1996, p. 16) che obbliga a riconoscere ogni storia individuale inesistente se non può essere messa nelle condizioni di raccontarsi e di entrare in risonanza con le storie degli altri. Ribadendo l’inseparabilità dei un Io dal Noi e rivelando di conseguenza che ciascuno di noi è le molteplici storie con le quali è, o è stato in contatto.
E ultimo, ma non ultimo per quanto riguarda la complessità, parafrasando Gregory Bateson, potremmo dire che noi apprendiamo per storie e siamo tutte le storie che abbiamo incontrato e interpretato, sottolineando come ognuno di noi sia profondamente incarnato nei propri racconti e come non sia possibile per l’essere umano esimersi dal raccontarci di continuo.
Parliamo di un’immaginazione (visone) e una narrazione che nel tempo, non modifichi gli eventi, ma lo sguardo con cui essi sono vissuti. Una narrazione che pone le basi nell’immaginazione. Una narrazione simbolico-analogica è ciò che permette di partecipare alla vita. Come?
Psicoterapia Ecobiopsicologica: la vita come unica maestra
Movimento comune alle esistenze è il tema del disagio che si manifesta in diverse forme e in diversi momenti. È il disagio, la rottura, l’inatteso che ci permette di far nascere la domanda, di apprendere dall’esperienza e aprirci all’immaginario. L’evento di disagio, di rottura, di malattia a un certo punto compare nella vita dell’uomo e con essi, dopo un iniziale smarrimento, emergono le domande esistenziali: Chi sono io? Qual è il mio compito? Il fatto di essere in difficoltà costituisce un’interruzione della biografia, della vita come se fosse un evento insensato che mi sovrasta.
Nei momenti di crisi (= dal lat. crisis, gr. κρίσις scelta, decisione), la mente perde lo sguardo di continuità sul suo divenire, ma nulla in realtà si spezza o si ferma, tutto è sempre e comunque in movimento. La paura e l’insicurezza dello stato di crisi chiudono il campo visivo e lo restringono, la mente si fissa sull’evento senza vedere altro, il pensiero non è più creativo ma ripetitivo, circolare, chiuso in se stesso. La mente si trova dunque di fronte a una scelta: integrare ciò che sta accadendo come avente un significato nella sua esistenza per poter proseguire nel flusso della vita.
Alla crisi segue una domanda di senso. E con la domanda di senso nasce un movimento di ricerca verso un nuovo equilibrio che passa dall’integrare e accettare l’evento accaduto. L’Io è costretto a dover passare da un pensiero lineare e razionale a un pensiero sistemico-complesso e analogico-simbolico, un pensiero Ecobiopsicologico.
Lo psicoterapeuta Ecobiopsicologico con la sua visione olografica e panoramica dell’esistenza umana, ponendo in costante relazione i fenomeni delle Natura della mente e del corpo, crea quello spazio tempo in cui ritrovare «la luce e lo spazio» (Pelosi, Raimondi, 2023) attraverso l’uso dell’analogia e del simbolo.
Il simbolo e l’analogia – ci dice Frigoli (Frigoli, 2024, II Congresso Nazionale di Ecobiopsicologia) – indicano la capacità di «tenere assieme» sia il senso conscio (sinn), che dà rilievo preciso agli oggetti designati, sia la sua materia prima (bild = immagine) che scaturisce dalle profondità ancestrali dell’inconscio. Il pensiero analogico e simbolico, riuscendo a combinare gli elementi più diversi in una descrizione unitaria, assolve la funzione di mediazione fra la potenza irrazionale dell’inconscio e il senso manifesto di esso, così come è compreso dalla coscienza. In questa prospettiva, quando esso viene applicato alle somatizzazioni presenti in una storia clinica, contribuisce ad integrare l’universo sub-simbolico, tanto caro alle neuroscienze, con il simbolico non verbale delle immagini psichiche, sino al simbolico verbale del linguaggio, trasformando la storia clinica in un vero e proprio «romanzo vissuto» come sintesi esistenziale determinata dall’asse del Sé e dal principio di sincronicità. Sul piano dell’in-formazione l’analogia e il simbolo permettono alla mente umana, attraverso le catene analogiche, di «leggere» gli ologrammi delle reti della natura che, quando entreranno in risonanza con gli ologrammi del corpo, daranno vita ad un campo psicosomatico particolare in cui la conoscenza non avverrà più tramite la mediazione dei concetti, ma direttamente tramite l’intuizione. Infatti, se l’analogia e il simbolo saranno in grado di rispecchiare gli ologrammi delle forme dell’evoluzione, essi potranno essere considerati «vitali», nel senso che esprimeranno la correlazione delle reti sistemiche dei processi della vita così come sono percepiti dalla consapevolezza dell’Io. Attraverso la conoscenza di questi passaggi potrà essere possibile alla psicoterapia il gettare le basi di una nuova cornice epistemologica, nella quale mente, corpo e natura fanno parte di un unico campo in-formativo, che la fisica quantistica definisce come Campo Akashico. Nella terapia occorrerà dunque che la comunicazione tra paziente e terapeuta avvenga da cervello destro a cervello destro, perché è solo attraverso l’incontro delle analogie presenti nelle rispettive menti che potrà avvenire lo smantellamento delle difese anti-totalità determinate dagli stati dissociati del Sé.
Ognuno arriva infatti con la propria storia, si presenta in terapia portando tutto se stesso, nei gesti, nelle espressioni, nelle parole, nei movimenti, negli eventi che narra e che raccontano di sè e delle sue radici. Arriva in terapia, in quel “luogo sicuro”, che diventa il luogo dell’accadere, spazio “poetico” – direbbe Bachelard – pagina bianca su cui scrivere la propria storia con sguardo nuovo. Nella relazione terapeutica si crea nell’incontro delle individualità, un terzo – il terzo incluso delle complessità? – il campo intersoggettivo della relazione. I corpi nel movimento del transfer e controtransfert si scambiano immagini, che sono immagini “vive” e “autonome”, non sono immagini della mente, sono immagini che la mente coglie nel processo terapeutico, non appartengono a nessuno e nello stesso tempo a entrambi, nella relazione terapeutica.
E sono le immagini che parlano e si presentano diventando orientanti la psiche e trasformative per la psiche stessa. L’immagine viene tradotta attraverso la parola che è una vibrazione in-formativa che colpisce la persona che la riceve in tutti i suoi sensi, non arriva solo all’udito, ma all’intero corpo, alle viscere. La voce varia nel tono, nel timbro, nella ritmicità e dunque la voce che traduce l’immagine diventa una sinfonia di accordi archetipici che fa vibrare l’intero corpo e apre la coscienza permettendo di riordinarsi a nuove frequenze (Violi, 2023, p. 81).
L’immaginazione (in me mago) ci fornisce il tutto, immediatamente, è unificante, il tutto si unisce in un unico suono. Nell’immaginazione non esiste più la dialettica soggetto-oggetto, ma questi due aspetti si uniscono nella coscienza del sé narrante, unificata al mondo. Per immagine non penso solo a immagini visive, ma a immagini che attingono all’intera sensorialità che ci appartiene. A volte sono canzoni, a volte suoni, a volte brividi, a volte odori o sapori che si percepiscono nel campo intersoggettivo. Sono immagini pulsanti in cui si percepisce e si sente la forza dell’interrelazione del tutto.
È così che lo “sguardo” del terapeuta Ecobiopsicologico – non solo lo sguardo della vista ma lo “sguardo” di tutto il corpo-mente del terapeuta – abbraccia, collega, crea connessioni e legami, si libera attraverso lo spazio e il tempo, con leggerezza e precisione. Il suo sguardo è periferico, panoramico perché non sono solo gli occhi a guardare ma l’intero suo essere nella sua presenza sensoriale e immaginativa.
Operando in tal senso il terapeuta entra in rapporto consapevole con «quella facoltà dell’anima capace di sintetizzare tutti i sensi – udito, olfatto, tatto, gusto – nell’unica singola facoltà di “vedere” costituito dalla percezione sensoriale del sovrasensibile» (Frigoli, 2019) chiamato corpo sottile, che proprio attraverso immagini si manifesta. Quando parliamo di corpo sottile siamo in quel mondo intermedio, mundus imaginalis, che si stabilisce fra il mondo fisico delle forme concrete e quello che tende all’unità dei fenomeni.
Nella relazione terapeutica è come se si stabilisse una connessione tra il sentire del campo intersoggettivo del paziente-terapeuta che fa da ponte, da punto di incontro in sé, tra lo strato più profondo del visibile e lo strato invisibile in cui pulsa l’energia.
References
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[1] Le in-formazioni sono connessioni sottili, quasi istantanee, non evanescenti e non energetiche tra cose in punti diversi del tempo e dello spazio. Tali connessioni vengono definite «non-locali» nell’ambito delle scienze naturali e «transpersonali» nelle ricerche sulla coscienza. Le in-formazioni collegano le cose (particelle elementari, atomi, molecole, organismi, sistemi ecologici, sistemi solari, galassie, oltre alla mente e alla coscienza associate a una o più di queste cose) indipendentemente dalla distanza che c’è tra loro e al tempo trascorso da quando tra loro vennero create le connessioni (Laszlo, 2007, p. 57).
[2] Sé – che potremmo sintetizzare con questa citazione di Hillman: «Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un’immagine o un disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è unico e tipico nostro» (Hillman, 1997, p. 23) – o che potremmo individuare in quella scintilla di unicità, in cui riconosciamo che il campo che precede la materia, come direbbe Laszlo.
[3] Ambiente – che potremmo raccontare con la potente metafora di Seung: «Noi siamo il nostro connettoma, ossia la mappa comprensiva delle connessioni neurali nel cervello, costruita su base relazionale ed esperienziale e i connettomi si modificano nel corso della vita a seconda delle esperienze e degli accadimenti che per ognuno di noi sono diversi. La conoscenza del connettoma ha a che fare inoltre con la nostra unicità. La nostra unicità come diversa partecipazione all’universo stesso. Ogni esperienza e relazione contribuisce a modificare il corso del fiume e il suo letto» (Seung, 2012) – che dà valore al dare forma di esperienze e relazioni e sottolinea l’importanza del contesto e l’interdipendenza tra le parti.
[4] Ereditarietà – che possiamo individuare non soltanto in quella genetica (DNA) ma anche in quella epigenetica, in cui transgenerazionalmente vengono ereditati anche pattern comportamentali, stili di attaccamento, strategie di coping, o ancor di più in ciò che Jung definisce Inconscio Collettivo, che permea il tutto e tutta l’umanità nella sua storia, in cui unicità e intreccio fanno dell’uomo «una specie a Sé» come direbbe Steiner.
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