Tessuti. Essere forma nel tempo.

in Materia Prima, La base poetica della mente. Dicembre 2023 – XIII

ABSTRACT

Nel presente articolo, si intende sottolineare l’importanza delle primissime fasi di vita dal concepimento alla nascita come momento da approfondire durante la raccolta anamnestica ai fini di ampliare le informazioni della storia dell’individuo fino ai suoi albori. Il concepimento – e potremmo aggiungere, anche prima del concepimento – e tutto ciò che accade durante la gravidanza sono momenti fondamentali in cui diverse forze confluiscono nel dare forma a ciò che sarà il nuovo nato. Ogni individuo è durante questa fase “tessuto” da queste forze. Tessuto nel corpo, nella differenziazione dei vari foglietti e della successiva organogenesi; tessuto nell’anima, nel simbolico telaio in cui si dipana la storia di un essere umano nel suo divenire interrelato con gli altri, il mondo, la natura. Verrà introdotto l’uso dell’autobiografia nella relazione terapeutica, con esemplificazioni anche cliniche, in cui verrà raccontato come il paziente possa ritrovare attraverso la scrittura della propria storia, il suo filo rosso e scorgere il divenire della propria esistenza.

Tessuti. Essere forma nel tempo

«Buio. Lampo di luce. Silenzio tonante.
Uno. Due. Quattro. Otto. Sedici. Centoventotto
Una sfera

Linea primitiva. Tre foglietti
Migrazioni Aggregazioni Ripiegamenti Invaginazioni
Movimenti

Tre forze danzano insieme dando forma alla vita.
Isolotti di Wolff. Tubo neurale
Notocorda. Archenteron
I Sensi

Nove mesi. Dieci lune. Quaranta settimane
L’ontogenesi ricapitola la filogenesi
Embrione
Feto

Tre forze danzano insieme
dando corpo a un’Anima
dando vita a un Corpo
dando a un’anima una Storia.

Eredità. Ambiente. Sé

Immagina di ripercorrere la tua storia
dal Concepimento alla Nascita
qui inizia l’Esistenza
che Ri-Conoscerai».

 

Mi sono permessa di iniziare l’articolo con immagini e parole che, nel ritmo, mimino quel processo di innesco della vita che per ognuno di noi ha sede nel concepimento, o forse anche prima di esso. Ho scelto immagini e parole in poesia[1] perché la vita è costituita in forma “autopoietica”[2], nel ciclo continuo di ri-nascite. Come ci dice anche Diego Frigoli «L’universo è un mistero costruito in forma “poetica”, un continuo infinito che si dipana in infinite molteplicità di forme che ci appaiono come finite e temporali».

L’esperienza di essere madre mi ha dato la possibilità di cogliere il senso profondo delle parole «nascere nel mezzo» di Bion e sentire come nella formazione di quel corpo, che tenevo in grembo, diverse forze operassero, non solo personali ma anche collettive, trasformando in quell’esperienza anche me stessa. Iniziai così a porgere maggiore attenzione durante i colloqui di terapia proprio al periodo pre-natale, alla gestazione, al concepimento. Ciò mi portò ad aumentare le conoscenze approfondendo maggiormente lo studio dell’embriologia e dell’Antroposofia.

Si nasce in un contesto, una cultura, una lingua, una famiglia, un momento storico e portiamo nel nostro corpo tutti questi elementi, che contribuiscono alla costruzione dei nostri organi interni. Nasciamo ripercorrendo la filogenesi dell’Universo, come ci dice Haeckel, e in ogni passaggio è possibile intravedere in questa esperienza umana, la stretta interconnessione tra il macrocosmo e il microcosmo.

FIG. 1. Kupka František, L’inizio della vita, Parigi, Centre Pompidou, Musée National d’Art Moderne,1900-1903

Aprendo lo sguardo alla dimensione umana intrauterina è possibile ritrovare, in questa delicata e affascinante narrazione della nostra storia, le tre forze che danzano a dare forma a ciò che sarà il nuovo individuo. Non ci soffermeremo qui sulla formazione degli organi e la relazione dell’ontogenesi che ricapitola la filogenesi nelle varie fasi della gravidanza, ma sul senso, come dicevo, del nascere nel mezzo e sul senso della continuità della vita che muta al nostro mutare. «Nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma», direbbe Antoine-Laurent Lavoisier. «Tutto scorre» direbbe invece Eraclito, con l’auspicio proprio di portarvi a sentire questo scorrere continuo della vita che come un fiume ci accompagna di forma in forma, di generazione in generazione, di vita in vita.

Tutto è movimento. Tutto è uno. Tutto è relazione.

In questo tutto interrelato, l’uomo è l’unica forma intellettiva in grado di comprendere le leggi dell’universo e ha un ruolo non accidentale proprio in tale atto di comprensione, direbbe Frank Tripler (Frigoli, 2022). L’Universo è partecipativo e ogni forma di esistenza partecipa alla creazione della realtà stessa, ognuna con il proprio livello di coscienza. L’uomo partecipa alla creazione della realtà nel dialogo continuo con la natura e l’universo. La narrazione diventa allora la possibilità, secondo le nostre caratteristiche di umani dotati di linguaggio, memoria, pensiero e intelletto di poter cogliere la spinta del movimento vitale, l’elan vital di Bergson, il senso della vita.

«Parola e scrittura sono movimento trasformato» dice Steiner. La parola emerge come movimento trasformato in concomitanza alla conquista della verticalità e alla liberazione della mano, che permette un ampliamento dell’esplorazione del mondo, nel gesto tanto caro alle neuroscienze dell’afferrare. Da quel momento il bambino, dopo il lungo esercizio fatto di suoni e lallazioni, propone le prime parole. La nascita della parola si accompagna alla graduale stabilità motoria del bambino, che trova un primo consolidamento importante all’età di due anni. Con i tre anni, raggiunta anche la maturità del sistema nervoso, compare il Sé narrativo (Stern, 1987) e la composizione delle prime storie.

Secondo l’Antroposofia, se il primo settennio della crescita del bambino è occupato dal tatto, equilibrio, e movimento, anche nella parola; è col secondo settennio dominato dalla sensorialità che compare la scrittura. Parola e scrittura vengono poi consolidate col terzo settennio in cui si forma l’Io e il pensiero.

La parola è la base della psicoterapia. Quando pensiamo alla parola non ci riferiamo solo al contenuto ma soprattutto al timbro, tono, ritmo, alla frequenza della voce, ai silenzi. La parola in psicoterapia intesse, apre, ricuce, unisce, dà forma, descrive, disegna paesaggi, panorami. La parola è nel qui e ora, nel momento della relazione, esiste in relazione all’altro che mi ascolta.

La scrittura, rigorosamente a mano, attiva quel processo che Duccio Demetrio (1996) chiama bilocazione cognitiva in cui noi siamo allo stesso tempo autori e spettatori di noi stessi, dell’altro e del mondo. La scrittura ferma, ci permette di dare forma alla mente, nero su bianco, ci dà la possibilità di rileggere a voce alta e sentire le parole, così come le abbiamo scritte, di cogliere le sfumature con cui ci definiamo.

La scrittura facilita l’osservazione di sé, la scoperta di ciò che c’è oltre il racconto che conosco della mia vita, oltre l’esigenza subconscia che necessita di confermare le credenze dell’Io, oltre la visione dell’Io. Permette l’emergere di altro in me stesso, permette la visione di altro, oltre me stesso.

Ecco che allora, la scrittura diretta del paziente può diventare fonte di scoperta di sé. Fu così che cominciai a richiedere alle persone che vedevo in terapia, uno scritto di qualche pagina fatta a mano che riportasse la propria biografia, dal concepimento ad oggi.

Il tema della biografia, dal greco bio vita e graphos scrittura, riguarda ognuno di noi. Non si tratta solo di un interesse per la propria vita, per il proprio destino, ma anche di un desiderio di comprendere le forme sorprendenti e diverse attraverso le quali si dispiega la vita degli altri, dell’Universo. La conoscenza di sé e la conoscenza del mondo sono, come dicevamo, interconnesse in maniera intrinseca e imprescindibile. La nostra bio-grafia contiene in sè, psicosomaticamente parlando, la biografia delle piante, degli animali, dei minerali, la biografia della Terra e dell’Universo, racconta e svela quel profondo e inscindibile legame tra microcosmo e macrocosmo, disegnata dalla continuità dei ritmi e dei rapporti analogici. Ogni biografia è un fatto personale e collettivo, un fatto sociale. In ogni biografia personale possiamo vedere l’intreccio, l’entanglement della vita e vedere come il nostro divenire è direttamente intrecciato e interdipendente al divenire degli Altri, del Mondo, della Natura. Ecco che la biografia diventa la narrazione per eccellenza in cui ognuno di noi, partendo da se stesso può vedere tutte queste interconnessioni e come queste abbiano contribuito a renderlo ciò che è nel tempo.

«Se vuoi conoscere te stesso,
guarda in ogni angolo del mondo;
se vuoi conoscere il mondo,
osserva nel profondo di te stesso.
Se vuoi conoscere te stesso,
allora cercati nell’universo;
se vuoi conoscere il mondo,
allora spingiti nel profondo di te stesso.
Tutte le tue profondità,
come in un ricordo del mondo,
ti sveleranno i misteri del cosmo».

Steiner

Cito di nuovo Steiner per collegarmi al tema del “ricordare” e affermare che «Siamo qui non per apprendere ma per ri-cor-dare», dal lat. recordari, der. di cor cordis cuore, dagli antichi ritenuto sede della memoria. Siamo qui per “dare di nuovo cuore” a ciò che c’è, ricordare nel senso Platonico di poter accedere a quelle memorie dimenticate fondamento della vita e da sempre substrato della nostra anima. L’esplorazione di sé attraverso l’autobiografia e la ricostruzione di essa, a partire dai processi fisiologici e psicosomatici, dal concepimento permette proprio di aprire il cuore in tal senso, regalandoci la possibilità di rivedere noi stessi sotto una nuova luce.

Oggi le neuroscienze parlano di connettoma come biografia delle nostre relazioni ed esperienze. «Noi siamo il nostro connettoma, ossia la mappa comprensiva delle connessioni neurali nel cervello, costruita su base relazionale ed esperienziale e i connettomi si modificano nel corso della vita a seconda delle esperienze e degli accadimenti che per ognuno di noi sono diversi» (Seung, 2012). Partendo da queste parole di Seung potremmo affermare che, se da un punto di vista genetico il genoma definisce la nostra essenza in potenza in quanto normalmente non modificabile, il connettoma estrinseca il pensiero umano nel suo evolversi, in quanto inserito in un contesto che alimenta la persona, definendola attraverso un omeostasi dinamica all’interno di un quadro sistemico. Gli studiosi del connettoma ne descrivono ulteriormente il senso: «[…] ogni fiume ha un letto, e senza questo solco nella terra l’acqua non saprebbe in quale direzione scorrere. Ecco… dal momento che il connettoma definisce le vie di scorrimento dell’attività neurale, possiamo considerarlo il letto del fiume della coscienza. È una metafora molto potente. Nel lungo periodo, come l’acqua del fiume plasma lentamente il letto, così l’attività neurale cambia il connettoma» (Seung, 2012). La conoscenza del connettoma ha a che fare inoltre con la nostra unicità. La nostra unicità come diversa partecipazione all’universo stesso. Ogni esperienza e relazione contribuisce a modificare il corso del fiume e il suo letto. Per questo l’esperienza di un percorso psicoterapeutico e autobiografico può essere profondamente significativo nella vita di una persona.

Ai primi colloqui anamnestici ecobiopsicologici, affianco dunque un approfondimento della genealogia e la ricomposizione dell’albero genealogico e chiedo di scrivere la propria autobiografia. L’anamnesi[3] (Breno, 2012) apre la strada alla stesura della biografia, richiedendo al paziente di osservarsi, recuperando nuove informazioni transgenerazionali e di gestazione, prima della stesura a mano libera. Se la raccolta anamnestica permette alla parola di essere il primo veicolo relazionale del racconto di sè, la stesura personale del paziente che sceglie le parole per raccontarsi in forma scritta, consente una partecipazione diversa al processo terapeutico ad un ulteriore livello di coinvolgimento. La narrazione della propria storia è tessuto, come prodotto finale, in cui si intrecciano trama e ordito, è tessuto come participio passato di tessere, di una forza vitale che dà forma alla materia.

In un mondo che è in continuo movimento e divenire partecipato, la narrazione è l’unica risposta al dinamismo che permette nello stesso tempo di essere in movimento e fermi. Scrivere permette un respiro, una ritmicità all’auto-osservazione di sé che vede dopo un’espansione una contrazione, dopo un’espressione una riflessione, dopo un’inspirazione un’espirazione.

Alla proposta di scrivere, c’è chi l’accoglie con piacere, come se non avesse aspettato altro che qualcuno glielo chiedesse; c’è chi si sente all’inizio inibito dal giudizio, c’è chi arriva con un’autobiografia temporale, chi ad elenco, chi con un romanzo, chi con un saggio, chi con una lettera, chi con una sola parte della propria storia, chi con poesie. Altri ancora portano immagini, foto, disegni, pezzi musicali che diventano la base florida da cui arrivare alla parola scritta e al racconto di sé. Inizia così, a volte da piccoli elementi, a volte con testi compiuti, il designarsi di quella trama da cui si intravede l’ordito che dà forma alla vita. Mentre il paziente legge la sua autobiografia ad alta voce nel campo relazionale accadono diversi fenomeni che accompagnano il prendere forma della mente del paziente di fronte al suo divenire nella narrazione di ciò che ha scritto.

Ricordo quella volta che con Monica riattraversammo il momento della sua nascita prematura, era nata all’ottavo mese. Aveva un rapporto con la madre difficoltoso, non si sentiva vista e ascoltata, continuava a pensare di avere qualcosa di sbagliato. Le nascite premature necessitano di particolare attenzione, in quanto purtroppo, troppo spesso accade, che ci si dimentichi che oltre a uno sviluppo fisico di pari passo esista uno sviluppo psichico e animico corrispondente. Gli organi che si formano dal concepimento terminano la loro formazione anche negli anni successivi la nascita, specie nei primi tre anni. La nascita prematura necessita di una cura ulteriore dal punto di vista emotivo-relazionale, che tenga conto di questo “essere nata prima del termine”, che tenga a memoria di questo strappo prematuro. Monica nacque prematura ma sana, con gli organi fisici in ottimo stato e non necessitò di alcun intervento ospedaliero, ciò che necessitava era di un ambiente che lentamente la accompagnasse a crescere. Monica è una donna molto dinamica, veloce e il suo sentirsi non all’altezza sembrava distonico al mio sguardo, mentre mi diceva: «Io non faccio mai la cosa giusta!» Mi incuriosì il fatto che nella sua autobiografia avesse focalizzato tutta la sua storia al settimo mese di gravidanza. Monica scriveva che la sua leggera ipoacusia aveva avuto origine da lì, in quel mese aveva letto che si formava l’orecchio.

Dalla narrazione sembrava una gravidanza fisiologica e dal punto di vista fisico lo era. La forza con cui il settimo mese prendeva posto all’interno del testo mi portò a ripercorrere la storia della sua gestazione con lei, ampliando l’inquadratura alla storia famigliare, agli eventi che potevano essere successi in quel momento. Emerse che al sesto mese di gravidanza alla nonna materna fu diagnosticato un tumore all’utero e che proprio nel settimo mese la nonna dovette affrontare l’operazione di asportazione dell’intero organo e le cure successive. Fu in questa ricostruzione che per la prima volta Monica vide e sentì la fragilità della madre di fronte a quell’evento che la impegnava su un duplice lato, come nuova madre impegnata a portare a termine la sua gestazione e come figlia che vedeva la madre crollarle dinanzi, proprio nel momento in cui lei stessa lo stava diventando. Monica, recuperando quell’informazione, aveva ricontattato un nuovo senso della sua storia e di conseguenza del suo sintomo.

Alcuni passaggi a volte sono uno shock, a volte un insight per il paziente, e si avverte come il rumore di un crack, una crosta di asfalto che si apre come uno strappo nel manto stradale… in quei momenti nasce un silenzio che è profonda accoglienza di ciò che è quel suono, quella sensazione nella carne, un silenzio in cui gli occhi del terapeuta e del paziente si incrociano e da quel silenzio, lungo quanto necessario, sembra che entrambi abbiamo potuto scorgere e intravedere, in quella crepa, un verde fresco germoglio che timidamente si affaccia. Nel leggere l’intera biografia si intravedono i ritmi della vita, le espansioni alternate a contrazioni come il giorno e la notte, i diversi movimenti umorali come nelle fasi lunari. La lettura dell’autobiografia permette l’incontro con l’altro direttamente attraverso il suo linguaggio, le sue metafore e immagini. Ci accompagna con sguardo aperto alla bellezza dell’essere nel mondo. Altre volte le immagini arrivano invece come elemento creativo e generativo dell’incontro terapeutico.

Alice aveva scritto la sua biografia cronologica a punti, raccolta in precisi momenti e puntualità di eventi. Ricorsivo era il tema della sorella, più piccola di lei di tre anni, e con la quale era accaduto un importante evento sincronico. Alice e la sorella Anna, rimasero incinta, senza saperlo, più o meno nello stesso periodo e accadde che comunicarono la stessa sera alla famiglia di origine la nuova notizia. Fu Anna la prima a dirlo con grande entusiasmo, Alice che avrebbe forse voluto aspettare a comunicarlo, alla fine seguì la sorella e, con calma e gioia, condivise anche la sua bella novità. Diverso fu l’esito della gravidanza e Alice da lì a poco ebbe un aborto spontaneo. Il difficile evento dell’aborto aprì per Alice un varco nella conoscenza famigliare, nella quale scoprì che la nonna materna aveva a sua volta avuto un aborto spontaneo prima di mettere al mondo sua madre. Parlando con la nonna emerse che anche i mesi di concepimento e perdita del bambino erano più o meno gli stessi. Alice scoprì inoltre che alla nonna materna fu rimosso l’utero per un fibroma in concomitanza della sua nascita. La ferita e il dolore di Alice furono possibilità per lei di scoprire una sofferenza transgenerazionale mai condivisa. Alice ebbe successivamente una gravidanza che la vedeva diventare madre di una splendida bambina.

L’altro evento sincronico legato alla sorella accadde proprio durante il nostro percorso legato all’autobiografia. Stavamo riattraversando il tema dell’aborto e Alice in quel momento aveva intrapreso un lavoro anche corporeo di impacchi per risanare il suo corpo, dolorante, in cui le memorie corporee si erano attivate, proprio nei mesi anniversario del triste evento. Proprio mentre Alice stava rivivendo queste memorie, la sorella comunicò che era di nuovo incinta. Fu allora che Alice si chiese perché per la sorella tutto era più facile, mentre per lei non lo era. Ricordammo insieme che ognuno ha la propria unicità espressa nel DNA e nelle esperienze relazionali e ambientali che contribuiscono alla formazione di noi stessi. Ecco che allora fu naturale recuperare l’informazione che l’aveva portata a iniziare un percorso di autobiografia con me. Alice veniva da un’esperienza di imprinting di nascita[4] in cui aveva riattraversato la sua nascita, la sua faticosa nascita, così come da sempre era ricordata da tutti i famigliari. Il parto di Alice era stato in effetti un parto con un lungo travaglio. La madre non si dilatava e i medici stavano per procedere con un cesareo, quando alla fine optarono per un episiotomia e con la manovra di Kristeller Alice riuscì a nascere in modo naturale. Il diverso imprinting di nascita, quelle “impronte” del corpo in formazione dei suoi organi, quel particolare momento che dal pre-concepimento fino alla nascita vede la danza di eredità, ambiente e Sé, dispiegarsi nelle esperienze relazionali, contribuiscono alla formazione della nostra unicità fin dal principio dell’esistenza.

Alice è primogenita e, avere un fratello e una sorella, permette inoltre all’Io di rivivere e rivedere quelle fasi primarie di sviluppo dal concepimento in poi che solitamente sono rimosse per la parziale maturazione del sistema nervoso, nei primi anni di vita (Konig, 2014). Un fratello e una sorella portano il tema dell’altro e una necessaria ricollocazione di sé nel sistema famiglia e nel mondo; portano il tema della diversità e dell’unicità di ogni essere umano. Fu così che, riattraversando gli snodi suddetti, legati alla sorella e ascoltando Alice, mi arrivò un’immagine.

C’erano due alberi, posizionati alla distanza di tre metri. Erano due alberi diversi nella conformazione. Le radici sottoterra comunicavano tra loro nel profondo ma tra le fronde c’era uno spazio strano. Sembrava, pur essendoci spazio, che questo non fosse sufficiente affinché le fronde di uno dei due potessero crescere liberamente. L’albero di Alice, primogenita, da un lato era rigoglioso con la chioma verticale ricca di piccole foglie verdi in movimento, dall’altro lato era rivolto verso la sorella, era come trattenuto, i rami erano più corti, scuri, ombreggiati nella parte inferiore, verso la chioma della sorella che risultava invece simmetrica e allungata in orizzontale, come un grande pino marittimo. La chioma della sorella si protraeva verso l’albero di Alice, che era lì fermo nel silenzio della sua ombra. Fu allora che l’immagine cominciò a muoversi e mentre narravo ciò che vedevo ad Alice, l’albero di Alice iniziò a prendere vigore anche dal lato in ombra. I rami neri e corti, gradatamente e delicatamente iniziavano a muoversi, ad allungarsi, a crescere, riprendendo un colore vivo, chiaro e caldo, di un legno giovane e flessibile. I rami che prima erano fermi su tutto il lato iniziarono a prendersi il loro spazio, non solo in verticale, ma anche verso il pino marittimo, si incurvarono attorno a lui, a coppa, senza toccarlo, come a tendere le mani, come ad abbracciarlo. Le restituii l’immagine così come mi era giunta.

Agli incontri successivi, Alice mi riportò che incontrando la sorella, aveva notato che Anna risultava sempre essere la stessa, ma era cambiato lo sguardo con cui lei la guardava e poteva vederla così com’era, nella sua diversità, poteva avvicinarsi senza sentirsi limitata dalla sua esuberanza, riusciva a trovare il suo modo di esistere libera proprio consacrando l’importanza della loro differenza.

FIG. 2. Gustav Klimt, L’Albero della vita, Vienna, MAK – Museum für angewandte Kunst, 1909

Quando si entra in relazione con il paziente e con l’autobiografia letta ad alta voce, il corpo si pervade di sensazioni fisiche nuove e improvvisamente la mente srotola immagini davanti ai miei occhi come condensati informativi che puntualmente restituisco al paziente. Queste immagini sono sempre a contenuto naturale e sono vere e proprie immagini che prendono vita nel campo relazionale, dove il terapeuta si fa loro portavoce. È così che durante il dispiegarsi della lettura ad alta voce della biografia, il corpo e la mente del paziente e del terapeuta convergono in un “terzo luogo”, una terza istanza che parla per immagini. Con il termine immagini intendo «immagini con vita propria, l’immaginazione come atto che crea con il reale e sul reale» (Jung, 1997, p. 176). Sono le immagini che parlano e si presentano diventando orientanti la psiche e trasformative per la psiche stessa. L’immagine viene tradotta attraverso la parola che è una vibrazione in-formativa che colpisce la persona che la riceve in tutti i suoi sensi, non arriva solo all’udito, ma all’intero corpo, alle viscere. La voce varia nel tono, nel timbro, nella ritmicità e dunque la voce che traduce l’immagine diventa una sinfonia di accordi archetipici che fa vibrare l’intero corpo e apre la coscienza permettendo di riordinarsi a nuove frequenze.

L’immaginazione (in me mago) ci fornisce il tutto, immediatamente, è unificante, il tutto si unisce in un unico suono. Nell’immaginazione non esiste più la dialettica soggetto-oggetto, ma questi due aspetti si uniscono nella coscienza del sé narrante, unificata al mondo. L’apertura all’inatteso è ciò che ci conduce all’incontro con l’altro. È un momento poetico della terapia in cui tra stupore, commozione e gratitudine si fa esperienza dell’altro e della vita. Sono immagini pulsanti in cui si percepisce e si sente la forza dell’interrelazione del tutto. La nascita dell’immagine come prodotto dell’attività immaginativa che coglie il senso archetipico della vita è, come direbbe D’Annunzio, «un’epifania dello spirito» o più semplicemente un’ispirazione. Esiste un moto di integrità di mente e corpo, una connessione istantanea tra la sensazione fisica, l’emergere dell’immagine e la natura.

È così che lo sguardo del terapeuta ecobiopsicologico abbraccia, collega, crea connessioni, legami, si libera attraverso lo spazio e il tempo, con leggerezza. Il suo sguardo è periferico, panoramico perché non sono solo gli occhi a guardare, ma l’intero suo essere nella sua presenza sensoriale e intuitiva. Operando in tal senso il terapeuta entra in rapporto consapevole con «quella facoltà dell’anima capace di sintetizzare tutti i sensi – udito, olfatto, tatto, gusto – nell’unica singola facoltà di “vedere” costituito dalla percezione sensoriale del sovrasensibile» (Frigoli, 2019) chiamato corpo sottile, che proprio attraverso le immagini si manifesta. Quando parliamo di corpo sottile siamo in quel mondo intermedio, mundus imaginalis, che si stabilisce fra il mondo fisico delle forme concrete e quello che tende all’unità dei fenomeni. Nella relazione terapeutica è come se si stabilisse una connessione tra il sentire del terapeuta che, come quello del poeta, fa da ponte, da punto di incontro in sé tra lo strato più profondo del visibile e lo strato invisibile in cui pulsa l’energia. Lo spirito di ricerca e la possibilità di cogliere le connessioni fra il corpo, le emozioni implicite, il sentimento, l’immagine e la parola (Frigoli, 2017) sollecitano la dimensione generativa e favoriscono il risveglio del dialogo con l’anima che, a partire dalla storia autobiografia, ci apre a cogliere anche il senso più profondo della vita e ci parla per immagini poetiche nel dispiegarsi delle nostre molteplici esistenze.

FIG. 3. Karl Friedrich Schinkel, dalla scenografia per Il flauto magico di Wolfang Amadeus Mozart (1756-91): Il Palazzo della Regina, Berlino, produzione allestita all’Opera reale, 1816

«La bellezza del mondo costituisce un appello, nel senso più concreto del termine, e l’uomo, questa creatura di linguaggio, gli risponde con tutta la sua anima. Ogni cosa si svolge come se l’universo, nel pensarsi, attendesse l’uomo per essere detto». (Cheng, 2007, p. 74).

FIG. 4. Caspar David Friedrich, Signora alla luce del tramonto (Alba, Signora alla luce dell’alba), Essen, Museum Folkwang, 1818

 

References

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Treccani, https://www.treccani.it/enciclopedia/poiesis_(Enciclopedia-dell’-Arte-Antica)/

 

Note

[1] Poiesis, al greco poieo, ποίησις significa propriamente “il fare dal nulla” (Platone, Simposio, 205, b) e appare la prima volta in Erodoto, (ii, 82), col senso di “creazione poetica” (https://www.treccani.it/enciclopedia/poiesis_(Enciclopedia-dell’-Arte-Antica)/) a ricordarci che l’atto creativo accade dal nulla, da quel otium che è quiete e silenzio, in uno spazio intermedio.

[2] Autopoiesi è la capacità di un sistema complesso, per lo più vivente, di mantenere la propria unità e la propria organizzazione, attraverso le reciproche interazioni dei suoi componenti. In greco auto se stesso, poiesis creazione.

[3] Anamnesi come termine che fa riferimento alla filosofia di Platone, per cui la conoscenza vera si fonda sull’anamnesi o ricordo delle idee conosciute dall’anima nella sua esistenza iperurania anteriormente al suo ingresso nel corpo. Tale teoria presuppone la concezione dell’immortalità dell’anima e della sua preesistenza al corpo. Durante la sua prima esistenza disincarnata, l’anima, a diretto contatto con le idee, acquisisce tramite la sua parte più nobile, l’intelletto o νοῦς, un bagaglio di conoscenze che tuttavia il successivo contatto con il corpo le farà dimenticare. Compito specifico della filosofia sarà appunto quello di risvegliare nell’anima il ricordo della primitiva esistenza e quindi far tornare alla mente il bagaglio di conoscenze vere a suo tempo acquisito. Tema legato al “ricordare”, prima citato.

[4] Imprinting, termine coniato dallo zoologo Konrad Lorenz per definire una particolare modalità di apprendimento solo nelle prime ore dopo la nascita, dalle prime trentasei ore ai primi tre giorni, in cui si stabilisce l’impronta della specie. Imprinting di nascita è un termine introdotto da Dominique Degranges, allievo di Porges e Levine, secondo il quale già dal pre-concepimento ognuno di noi riceverebbe un’impronta che ci accompagna nella vita post-natale.

Festival della Complessità. Dialoghi sui Mondi Possibili
13 maggio ore 10-11.30

Il Filo del Sé. Narrazioni. Scrivere per ri-conoscere.
Tra trama e ordito. La Scrittura come via per comprendere se stessi per comprendere il mondo.

di e con
Francesca Violi

Chi sono
Proprio perché parleremo di narrazioni e di biografia, mi presento raccontandovi brevemente la mia storia. Nasco e cresco tra i colli dell’Appennino Tosco-Emiliano di cui ricordo la pace e la meraviglia legata al costante contatto con la natura e i suoi mutamenti stagionali.
Scrivo da quando ho 12-13 anni e ho iniziato con il classico diario quotidiano o diario segreto.
La mia curiosità per tutto ciò che riguarda la vita, la natura e l’uomo mi ha dapprima spinto a studi scientifici per poi portarmi verso l’area umanistica con la psicologia e le Arti.
Sono Psicologa specializzata in psicoterapeuta Ecobiopsicologica e Maestra d’Arte e nel 2010 pubblicai il mio, e per ora primo, libro Lilith. Risveglio di un’Ombra. Ed. Persiani.
L’incontro con l’Ecobiopsicologia fu per me non solo la possibilità di sintesi di tutto il mondo simbolico che da tempo mi interessava, ma fu anche la mia possibilità di crescere professionalmente, diventando post-specializzazione Caporedattrice della Rivista Materia Prima e successivamente Responsabile dei progetti e delle Innovazioni e docente dal 2011 al 2016. Nel 2012-2014 ebbi la possibilità di collaborare a un capitolo del libro Dal segno al simbolo di E. Laszlo, P.M. Biava e D. Frigoli, in cui si pongono le basi per il nuovo paradigma nel campo della medicina e della salute in ottica sistemico-integrata. Dal 2015 porto i miei contributi come relatrice al Festival della Complessità nelle diverse città.
Come in tutte le biografie gli eventi della vita si muovono in ciclicità con andamenti che spesso l’Io non riconosce come sensati ma ne vive solo la sofferenza. A causa di problematiche familiari fui costretta ad abbandonare i miei ruoli e l’abitazione che allora avevo a Milano per rientrare a Parma e occuparmi di me e della mia famiglia d’origine.
In quegli anni, faticosi e disorientanti e appunto dolorosi, ceraci di ripartire fondando Centro Speira dove tuttora lavoro insieme ad altre colleghe.
Quegli anni mi permisero di sondare e aprirmi a nuove conoscenze e un recupero di un nuovo equilibrio spazio-temporale tra lavoro e vita personale mi diede la possibilità di ritornare a scrivere non solo per articoli scientifici o clinici come avevo fatto negli ultimi anni, ma per me stessa e per il mondo in forma poetica e letteraria.
L’amore per il simbolico e i legami uomo-natura che già avevano base nel mio approccio Ecobiopsicologico e la nascita di mia figlia nel 2020 mi portarono ad recuperare gli studi antropofosofici che già avevo incontrato durante la formazione in Aneb e approfondito successivamente.
Per liberare ulteriormente la scrittura mi regalai nell’ultimo anno un percorso personale alla Libera Accademia dell’autobiografia (LUA) di Duccio Demetrio.
Ed eccomi oggi, come donna, madre, psicologa, psicoterapeuta, counselor biografica, scrittrice e formatrice e cercare di condurvi a sentire tutta la forza della parola e della scrittura e come poterla utilizzare nel vostro quotidiano o nella misura in cui in alcuni momenti possa essere una via per attraversarsi e ri-trovarsi.
Inizierei dunque dal titolo che ho scelto per il nostro incontro di oggi.

Narrazioni
Perché parlo di narrazione e complessità? All’interno del festival si parla di cultura della complessità che ha le radici nelle scienze della complessità… per complessità di intende da complector “tenere insieme”, “abbracciare”, lo sforzo di vedere tutto ciò che è la realtà come una serie di sistemi autopoietici in relazione costante tra loro, ciò vale sia per l’uomo e i suoi livelli di complessità interna (cellule, tessuti, organi, etc.. famiglia, società, natura) sia per i livelli di complessità della natura stessa nella sua multidimensionalità.Quindi oggi possiamo dire che si è arrivati alla consapevolezza che tutto è interrelato (entanglement) e tutto è in movimento continuo e trasformazione (cellule del corpo a parte le nervose mutano completamente in cicli di 7 anni, etc..) quindi come muta la materia muta anche il nostro Io, al nostra coscienza personale insieme alla coscienza collettiva, mutano le società, le famiglie, etc…Se riusciamo con la mente un attimo a fermare e cogliere nella loro profondità ciò che vogliono dire, allora per esempio ci ricorderemo che siamo noi sulla Terra a girare intorno al sole e sul nostro asse terrestre e non il contrario.Quindi mutiamo dentro e fuori costantemente… l’Io come le cellule muta nel tempo e cresce a ritmi archetipici che sono i ritmi della natura.A questo punto sono possibili solo narrazioni, proprio per questo continuo mutare, in cui la narrazione permette di dare forma e comprendere (tenere insieme) tutto ciò che finora si è presentato e co-costruito insieme uomo-natura.In un mondo in continuo divenire in cui sono le relazioni e le esperienze interrelate tra i diversi mondi e dimensioni che dettano il passo del cambiamento sia possibile solo narrazioni in divenire. Narrare dà forma alla mente e permette di prendere coscienza del momento presente e del proprio essere interrelati al tutto (entanglement).

Scrivere
Perché scrivere? “La parola e la scrittura sono movimento trasformato”, dice Steiner. Scrivere utilizza la mano che nel primo gesto dell’afferrare tanto caro alle neuroscienze in cui l’uso della mano è la conquista della verticalità anche nello sviluppo del bambino un passaggio fondamentale quando può stare in piedi senza aggrapparsi ed esplorare il mondo con le mani.
La scrittura (rigorosamente a mano) e nelle arti si attiva quel processo che Duccio Demetrio chiama bilocazione cognitiva in cui noi siamo allo stesso tempo autori e spettatori di noi stessi, dell’altro e del mondo. L’osservazione insieme alla narrazione sono due modalità basilari per essere nel mondo fluendo e dialogando con esso.

Per ri-conoscere
Ri-conoscere è inteso nel senso di guardarsi con gli occhi del bambino permettendosi di vederci di nuovo, nuovamente come una prima volta, “senza memoria né desiderio” direbbe Bion, senza giudizio o interpretazione, dando la possibilità di poter cogliere un nuovo fil rouge che finora non era che invisibile o inconscio. Ri-conoscersi nel senso di quel prendere forma nel presente cogliendo il senso di ciò che è stato, tessendo nel presente le basi del futuro.

Il Filo del Sè si ispira al termine Sutratma.

Sutratman
(San.) – Letteralmente, “il filo dello spirito”; l’Individualità immortale (il Sé) che si incarna negli uomini una vita dopo l’altra e su cui sono infilate, come perle su di un filo, le sue innumerevoli Personalità (Io), nella tradizione dei Vedantini.
(Occ.) – Filo di Vita o Filo di Fohat, è il Filo dell’Essere che anima l’uomo e passa attraverso le Personalità, o Rinascite, su questa Terra. Nella filosofia indù è detto Sutratma. Il filo di vita è il legame che unisce la serie ininterrotta delle manifestazioni della Vita (esistenze, rinascite), sia nel corpo fisico che al di fuori di esso.
Per cui faticasse a una visione spirituale più ampia che si allarga alla reincarnazione e alla vite precedenti può immaginare quel filo come base costante nella vita attuale di tutte le mutazioni dell’Io nel corso del tempo, così come dicevamo all’inizio.

Biografia
Il tema della biografia, dal greco bio: vita e graphos: scrittura, riguarda ognuno di noi. Non si tratta solo di un intessere per la propria vita, per il proprio destino, ma anche di un desiderio di comprendere le forme sorprendenti e diverse attraverso le quali si dispiega la vita degli altri. La conoscenza di sé e la conoscenza del mondo sono qui interconnesse in maniera inestricabile.
Ciascuno ha il suo “filo rosso di vita” personale, la sua propria bio-grafia che si intesse con quella degli altri per costruire il canovaccio della società umana in evoluzione.
La nostra bio-grafia va anche oltre e si intesse con la biografia delle piante, degli animali, dei minerali, con la biografia della Terra e dell’Universo. Ogni biografia è un fatto personale e collettivo, un fatto sociale.
In ogni biografia personale possiamo vedere questo intreccio e vedere come il nostro divenire è direttamente intrecciato e interdipendente al divenire degli Altri, del Mondo, della Natura, dell’Universo.
È L’ontogenesi ricapitola la filogenesi. Direbbe Haeckel
Possiamo cogliere nella nostra storia la storia dell’universo stesso e la sua autocreazione.
Facciamo un esempio semplice, ognuno di noi si ferma nella propria biografia spesso al nucleo familiare, si ferma alle storie umane, ma se allarghiamo la lente, vedremo nelle nostre biografie intrecciarsi storie di animali, anche per chi non ne possiede uno direttamente, storie di luoghi non solo case ma ambienti in cui queste case sono collocate. Storie che hanno contesti territoriali diversi…
Ecco che la biografia diventa la narrazione per eccellenza in cui ognuno di noi, partendo da se stesso può vedere le interconnessioni di sé con gli altri, il mondo, la natura e come tutte queste connessioni abbiano contribuito a renderlo ciò che è.

Quando la Vita diviene la prima e la maggiore delle Arti, tutte le altre non sono che una introduzione meno nobile, e anche la Scienza se vuole penetrare l’intima essenza delle cose deve essere in grado di suggerire emozioni e stati di animo, (…) deve diventare un Arte poetica, perché la Vita è soprattutto musica, in cui armonicamente si fondono le leggi matematiche del suono e le impressioni indefinite dell’anima
Diego Frigoli, Il Telaio incantato della Creazione, 2022

Come utilizzo dunque la scrittura?
La uso come psicoterapeuta, in psicoterapia, con i miei pazienti inserendo la biografia o la scrittura dei sogni, dei pensieri, lettere…
Come Counselor biografico come percorso in un numero preciso di incontri in individuale che ripercorre la propria biografia dalla nascita ad oggi.
In gruppo, nei percorsi Il Filo del Sé, rimanendo nel rispetto della privacy individuale, in una serie di incontri strutturato a moduli in cui ognuno si ferma al modulo dell’età in cui si trova.

Percorso: percursus del lat. percurrere “passare attraverso”, comp. di per- e currere “correre”]
Il percorso è accessibile a tutti, per il momento dai 21 anni in su, in cui esplorandosi a partire dalla propria storia ognuno possa divenire se stesso prendendo coscienza di sé aprendosi alla scoperta di un senso più ampio della vita.
Entrando in contatto con la propria storia e cogliendo la complessità e l’interdipendenza di ogni cosa, si può essere toccati in modo commovente dalla forza dell’esistenza che è in ognuno di noi e in ogni cosa.
Il percorso di scrittura autobiografica è strutturato a moduli, può essere un lavoro individuale o individuale fatto in gruppo che lascia tutto lo spazio alla profondità della storia personale mantenendo la protezione delle proprie parti in gruppo. Ogni gruppo ha proprie dinamiche e proprie caratteristiche che creeranno il campo di lavoro del gruppo stesso.
Il percorso Filo del Sé si muove secondo i ritmi archetipici della vita e della natura e non ha una struttura fissa, se non dal punto di vista analogico-simbolico seguendo le tappe temporali della crescita (ordito), e si autodefinisce col gruppo che si crea (le trame dei singoli partecipanti), il terapeuta (facilitatore) si limita a mettere in gioco le forze che già sono presenti nel campo accompagnandone il ritmo.

Se vuoi conoscere te stesso,
guarda in ogni angolo del mondo;
se vuoi conoscere il mondo,
osserva nel profondo di te stesso.
Se vuoi conoscere te stesso,
allora cercati nell’universo;
se vuoi conoscere il mondo,
allora spingiti nel profondo di te stesso.
Tutte le tue profondità,
come in un ricordo del mondo,
ti sveleranno i misteri del cosmo
Steiner

L’importanza del Ricordare
“Siamo qui non per apprendere ma per ri-cor-dare”
Lat. recordari, der. di cor cordis ‘cuore’, in quanto dagli antichi era ritenuto sede della memoria, col pref. re- .
Siamo qui per dare di nuovo cuore a ciò che c’è, ricordare nel senso Platonico di poter accedere a quelle memorie dimenticate fondamento della vita e da sempre substrato della nostra anima
Attraverso la scrittura autobiografica in un percorso che vada ad aprire il cuore in tal senso, permettendoci di rivedere noi stessi sotto una nuova luce, è possibile riscrivere se stessi diventando ciò che si è.

Connettoma
Oggi le neuroscienze parlano di connettoma come la biografia delle nostre relazioni ed esperienze.
Ciò ci è anche confermato dalle neuroscienze quando ci dicono che noi siamo il nostro connettoma, ossia la mappa comprensiva delle connessioni neurali nel cervello, costruita su base relazionale ed esperienziale e che i connettomi si modificano nel corso della vita a seconda delle esperienze e degli accadimenti che per ognuno di noi sono diversi (Seung, 2012). Seguendo tale approccio, potremmo affermare che, se da un punto di vista genetico il genoma definisce la nostra essenza in potenza in quanto normalmente non modificabile, il connettoma estrinseca il pensiero umano nel suo evolversi, in quanto inserito in un contesto che alimenta la persona, definendola attraverso un omeostasi dinamica all’interno di un quadro sistemico.
“La mente è il prodotto delle interazioni fra esperienze interpersonali e strutture funzioni del cervello (…) emerge da processi che modulano flussi di energia e di informazioni all’interno del cervello e fra cervelli diversi (…) si forma all’interno delle interazioni fra processi neurofisiologici interni ed esperienze interpersonali. Lo sviluppo delle strutture e delle funzioni cerebrali dipende dalle modalità con cui le esperienze, e in particolare quelle legate a relazioni interpersonali, influenzano e modellano i programmi di maturazione geneticamente determinati dal sistema nervoso. In altre parole, le “connessioni” umane plasmano lo sviluppo delle connessioni nervose che danno origine alla mente” (Siegel, 2001).
Non è possibile scindere il corpo dalla mente e la mente dal corpo e questi dall’ambiente in cui si trovano: “gran parte della fisiologia cerebrale non è né hardware, né software. Piuttosto è una fisiologia umida, come fluidi, ormoni, trasmettitori, sostanze biochimiche ed endocrine- tutte cose per le quali il cervello risulta essenzialmente connesso con il corpo intero e con il resto della fisiologia nella sua globalità” (Dbru).
Gli scienziati impegnati nello studio del connettoma ne vedono il substrato neurobiologico: “…ogni fiume ha un letto, e senza questo solco nella terra l’acqua non saprebbe in quale direzione scorrere. Ecco… dal momento che il connettoma definisce le vie di scorrimento dell’attività neurale, possiamo considerarlo il letto del fiume della coscienza. È una metafora molto potente. Nel lungo periodo, come l’acqua del fiume plasma lentamente il letto, così l’attività neurale cambia il connettoma” (Seung).
La risposta avanzata da Seung a queste domande è sicuramente affermativa (Seung). Egli infatti sostiene che la prima vera possibilità offerta dalla conoscenza del connettoma abbia a che fare con la nostra unicità. Sappiamo che esistono differenze individuali anche molto marcate e che dipendono da fattori fenotipici e genotipici, ma il connettoma riesce a spingersi ancora più in là essendo un marcatore individuale che ci consente di cogliere la pluralità delle differenze e nel contempo l’unicità delle nostre caratteristiche: perché siamo più introversi dei nostri amici, più curiosi, meno attenti, più aggressivi e meno tolleranti ecc ecc.

Ecco perché possiamo ritenere fondamentale il tema della biografia e dell’autobiografia come esperienza e relazione che permette di ri-conoscere se stessi interrelati alla natura e al movimento dei ritmi universali.

Per Info e conoscere Il Filo del Sè
Potete seguirmi e trovare tutte le informazioni sulla pagina Facebook o Instagram @ilfilodelse dove trovate spunti di riflessione e troverete le iniziative e i corsi. Le stesse informazioni sono anche nel mio sito www.francescavioli.it.
Potete scrivere a ilfilodelse.bio@gmail.com

Bibliografia
Frigoli D., Il telaio incantato della vita, 2022
Dbru C., Metafore del cervello, in Gagliasso E., Frezza G. (2010) (a cura di), Metafore del Vivente. Linguaggi e ricerca scientifica tra filosofia, bios e psiche, Franco Angeli, Milano
Laszlo E., Biava P.M., Frigoli D., Dal segno al simbolo, ed. Persiani, 2014
Seung S, Connettoma, Codice Ed., 2013
Steiner R., Le Basi Conoscitive e i Frutti dell’Antroposofia, Antroposofica Ed. 2018

Ogni uomo è un Mondo Possibile?
Articolo per Festival della Complessità 2023 (https://www.festivalcomplessita.it/ogni-uomo-e-un-mondo-possibile/)

Una domanda provocatoria, una domanda per riflettere insieme.

Innanzitutto chi è l’uomo?

L’uomo è figlio del cosmo – ricorda Morin – e: “ognuno di noi porta in sé particelle nate agli inizi dell’universo, atomi forgiati dal cuore ardente delle stelle anteriori al nostro Sole, molecole formate sulla terra o atterrate da aereoliti, antenato/i di unicellulari, poi eucarioti pluricellulari, poi animali, pesci, anfibi, rettili, mammiferi, primati. Portiamo in noi la storia del cosmo e quella della vita, ma ne siamo separati dall’originalità della nostra cultura, del nostro linguaggio, della nostra coscienza” (Morin, 2018)

In questa immagine di uomo, così dipinta da Morin, si scorge il fluire della vita, l’ontogenesi che ricapitola la filogenesi se vogliamo dirla con Haeckel, il rapporto uomo-natura-universo, il microcosmo nel macrocosmo, il corpo come mandala dell’universo. E in tutto quel rincorrersi di parole a descrivere la vita, il limite delle parole stesse a poterne descrivere la realtà, il limite sensoriale umano nel poter vedere la vera realtà del mondo così com’è. È allora il dialogo con l’irrazionalizzabile sempre usando parole di Morin o l’ampliamento del campo di conoscenza verso all’immaginario e l’ignoto per dirla con Frigoli, che permette alla mente di cogliere intuitivamente l’ologramma, la forza archetipica in-formatrice della vita.

“Per entrare in contatto con la verità profonda delle cose – dice Frigoli (2022) – che va al di là del loro aspetto esteriore, occorre che si ribalti la sfiducia che la scienza manifesta nei confronti dell’ignoto e dell’oscuro, consentendo la scoperta delle emozioni di fondo presenti nel nostro immaginario quando considera il mondo non tanto come uno scenario da descrivere, quanto come un misterioso codice di simboli da penetrare e decifrare con lo strumento dell’analogia, la sola in grado di farne affiorare il senso riposto e di ricondurre tutto a quella totalità che la visione ordinaria della vita corrompe e distrugge”.

E continua: “Lo schema scientifico che vincola la natura, l’uomo e l’universo in un tutto coerente, è costruito da un’immensa catena di “coscienza” che la ricerca cosmologica chiama “in-formazione”. Le in-formazioni collegano tutte le cose dell’universo, gli atomi come le galassie, gli organismi e le loro menti a comporre una Grande Danza, la Danza della Vita”.
Si usa qui il termine in-formazione per esprimere la connessione coerente delle relazioni che vincolano sincronicamente tutte le cose dell’universo, dando forma alla coscienza dell’uomo.

Cosa intendiamo per coscienza?

Il limite del definire la coscienza, nel nostro idioma, è la mancanza, a differenza di altre lingue come per esempio nel sanscrito, di avere una pluralità di parole che individuano differenti e precisi stati. Per coscienza si intende in generale il campo entro cui avviene ogni esperienza. La coscienza non si limita alla sola umana. Ogni forma dell’universo ha un proprio stato di coscienza, definita da Maturana e Varela cognizione.

Solo con i vertebrati, nei primati e nell’uomo il sistema nervoso si è così evoluto a tal punto che i nostri modelli interiori della realtà sono diventati così complessi da includere la riflessione sul mondo stesso: nasce la coscienza autoriflessiva. Con la coscienza riflessiva non solo abbiamo esperienza del mondo intorno e dentro di noi, ma anche siamo consapevoli di noi stessi in quel mondo.
L’emergere della coscienza riflessiva è in qualche modo legato allo sviluppo del linguaggio.

Ecco che le scienze cognitive distinguono due tipi di coscienza: la coscienza primaria o nucleare e la coscienza di ordine superiore o riflessiva. La primaria fornisce all’organismo un senso di sé in un dato momento e luogo, senso transitorio di sé condiviso anche da mammiferi, uccelli e vertebrati (Damasio, 1999). La riflessiva parte da un concetto di sé come essere che pensa, che riflette sul suo passato e prevede il futuro, usa il linguaggio e il pensiero astratto, produce immagini mentali, strategie e credenze.

La realtà quindi che ci appare come tale è co-prodotta dalle potenze organizzatrici del nostro cervello; noi non la conosciamo direttamente ma solo attraverso le modificazioni indotte dalle nostre sensazioni, percezioni, emozioni e dal nostro stesso linguaggio, nonché dalle teorie o filosofie della nostra cultura e società.

Possiamo pensare che tutte le forme materiali esistenti altro non siano che stati di coscienza in evoluzione?

Quello che sicuramente possiamo dire è che la coscienza è così antica da essere contemporanea alla vita, anzi incorporata alla vita.

Se l’universo possiamo dire essere un mistero costruito in forma “poetica”, un continuum infinito che si dipana in infinite molteplicità di forme che ci appaiono come finite e temporali, è necessario che l’uomo esplori e si confronti col suo immaginario, con l’ignoto, luogo da cui scaturiscono anche le grandi intuizioni della scienza. Non c’è una realtà in sé ma un’auto-organizzazione dell’universo che produce la sua realtà e questa auto-organizzazione è uno stato di coscienza misterioso, ad un tempo illusorio e reale, come la coscienza stessa dell’uomo (Frigoli, 2022).

Come metterci in contatto con la poeisis dell’universo?

Confrontarci col nostro immaginario e metterlo in relazione al nostro corpo, interrogarsi sulle relazioni uomo e natura, corpo e universo permette di entrare in contatto con ciò che la cosmologia definisce l’ordine olografico delle in-formazioni costruite dalla nostra mente.

Siamo noi esseri umani a produrre in noi stessi le forme che percepiamo, quando la nostra mente e il nostro corpo entrano in risonanza con gli ologrammi presenti nelle forme del mondo naturale, che sono costruite sulla base delle leggi archetipiche e a seconda della nostra capacità di leggere nella struttura delle cose le loro proprietà analogiche diventa possibile alla nostra mente accedere alla conoscenza delle forze archetipiche stesse.(Frigoli, 2022)

Ciò ci è anche confermato dalle neuroscienze quando ci dicono che noi siamo il nostro connettoma, ossia la mappa comprensiva delle connessioni neurali nel cervello, costruita su base relazionale ed esperienziale e che i connettomi si modificano nel corso della vita a seconda delle esperienze e degli accadimenti che per ognuno di noi sono diversi (Seung, 2012). Seguendo tale approccio, potremmo affermare che, se da un punto di vista genetico il genoma definisce la nostra essenza in potenza in quanto normalmente non modificabile, il connettoma estrinseca il pensiero umano nel suo evolversi, in quanto inserito in un contesto che alimenta la persona, definendola attraverso un’omeostasi dinamica all’interno di un quadro sistemico.

Partendo da noi stessi, nel continuo interrogarci profondamente sulla nostra natura umana e ritrovando nel corpo quelle forme in-formate archetipiche che sono proprie anche della natura e dell’universo, possiamo essere testimoni nell’esperienza diretta di questo fluire, mutare continuo in relazione alla natura, al cosmo, all’universo ed essere parte di un tutto.

Abbiamo la possibilità di osservare e partecipare all’avvenire – nel suo senso etimologico “che deve avvenire, accadere” con direzione al futuro – e nell’avvenire ognuno di noi possa essere una possibilità di creare, anzi immaginare mondi possibili, non guidati da un intellettualismo ma dall’intelligenza del cuore, da una visione sistemico-complessa, dalla saggezza incarnata, che è sentire palpitare e vibrare il corpo e l’anima di fronte alla propria storia, alla storia dell’altro, alla storia della natura, alla vita nel suo essere e divenire.

Proprio nel divenire degli ultimi anni in cui lo stadio di coscienza ed esistenza è mutato insieme alla complessità del mondo e viceversa, siamo chiamati a immaginare e co-creare mondi possibili insieme tra di noi recuperando quel profondo legame con la natura e il cosmo che abbiamo visto essere parte fondante di noi e della vita.

Eccoci qui per auto-osservarci, interrogarci, sondare l’immaginario e l’irrazionale, aprirci con stupore e meraviglia a cogliere la bellezza della vita cercando parole per narrarla che siano vicini alla poesia (poiesis), alla reverie di Bachelard, affinchè si possa trovare un linguaggio nuovo, un nuovo stadio di coscienza aperto a cogliere l’evoluzione continua della vita e della coscienza in tutte le forme in-formate in cui si manifesta.

Bibliografia
Bachelard G., La poetica della reverie. Dedalo ed., 2007

Capra F., La rete della vita., BUR, 1996

Capra F e Luisi P.L., Vita e natura, Aboca Ed., 2017

Damasio A , Emozione e coscienza. Adelchi, 1999

Frigoli D., Ecobiopsicologia. Psicosomatica della complessità., M&B, 2004

Frigoli D., Il telaio incantato della vita, 2022

Laszlo E., Olos. Il nuovo mondo della scienza., Riza, 2002

Laszlo E., La scienza e il campo akashiko. URRA, 2010

Maturana H e Varela F., Autopoiesi e cognizione. Marsilio, 2001

Morin E., 2018, Conoscenza, ignoranza, mistero, Cortina Ed.

Morin E. Scienza con coscienza. FrancoAngeli, 1982

Seung S., Connettoma., Codice Ed., 2012

Il Filo del Sé

Dalla trama all’ordito

Il tema della biografia, dal greco bio: vita e graphos: scrittura, riguarda ognuno di noi. Non si tratta solo di un intessere per la propria vita, per il proprio destino, ma anche di un desiderio di comprendere le forme sorprendenti e diverse attraverso le quali si dispiega la vita degli altri. La conoscenza di sé e la conoscenza del mondo sono qui interconnesse in maniera inestricabile.

Ciascuno ha il suo “filo rosso di vita” personale, la sua propria bio-grafia che si intesse con quella degli altri per costruire il canovaccio della società umana in evoluzione.

L’autobiografia come mezzo per l’esplorazione e la conoscenza di sé.

Immaginate di avere un arazzo in mano, un tessuto: la realizzazione del tessuto avviene intrecciando tra loro fili perpendicolari che prendono i nomi di ordito e di trama.

Ecco la trama è l’autobiografia: la nostra storia che si inserisce nel flusso della vita. Ogni tessuto creato è un individuo a se stante, come direbbe Teilhard De Chardin, “ogni uomo è una specie a sé”, un universo a sé.

L’ordito per creare ogni tessuto è sempre il medesimo, presenta le stesse leggi che sono le Leggi della vita, sono ritmi semplici e costanti, archetipi che appartengono a noi, alla Natura, al mondo, all’Universo.

Ed ecco che se anche apparentemente come tessuti separati, viviamo la nostra individualità, siamo interdipendenti da tutto ciò che ci circonda e che fuori di noi è dentro di noi.

E così passo dopo passo riprendendo il mio “tessuto” che è fisico e psichico insieme, psicosomatico direi, la mente prende forma diventando se stessa nell’atto di scrivere, disegnare, sperimentare.

La differenza rispetto a una psicoterapia? In una psicoterapia ci si apre alla “lettura” della storia di un paziente e alla trasformazione della sua biografia in un romanzo vissuto… ma vissuto da chi? Innanzitutto dal terapeuta, che collegando in sè i riferimenti analogici presenti all’interno della storia biografica e rendendoli vivi e pulsanti sino a farli diventare “romanzo”, comincia a costruire una diade terapeuta-paziente al cui centro si pone la trasformazione degli eventi narrati in una storia più significativa.

Nel Counseling Biografico o nei corsi Il Filo del Sé, il terapeuta è un facilitatore che come un agricoltore sostiene il terreno in cui il seme deve prendere forma fino a fiorire e dare frutti. Il facilitatore sostiene il campo, con il suo sapere, saper fare e saper soprattutto essere, con calma, presenza e apertura. Chi scrive la propria biografia viene accompagnato nel diventare se stesso attraverso l’uso di diverse tecniche a mediazione corporea o pittorico/artistica che anch’esse facilitano l’esperienza di visione di sè tramite la biografia.

Instagram #ilfilodelse

Fb @IlfilodelSè

Mail ilfilodelse.bio@gmail.com

Presentazione del laboratorio su piattaforma Zoom il 24 ottobre 2022 dalle 13 alle 14!

SOGNI E IMMAGINAZIONE ATTIVA
L’arte al servizio del Sé

Laboratorio online su piattaforma Zoom, il lunedì dalle 13 alle 14,
nella date del 7 novembre, 21 novembre e 5 dicembre.

Il sogno è sempre unico e giunge sempre al momento giusto.
È un messaggio delle forze dell’istinto, delle forze dell’inconscio collettivo, un messaggio
che arriva a un dato momento, in una notte particolare e che ha un senso preciso per quel sognatore.

SOGNI E IMMAGINAZIONE ATTIVA, nasce dall’unione delle mie competenze di psicologa analitica e studiosa del simbolico e della mia esperienza  personale con l’immaginazione attiva.

Il laboratorio nasce dal desiderio di mantenere questo spazio prima di tutto per me stessa e non perdere il valore di questo dialogo con l’inconscio attraverso i sogni, e da qui, volere condividere una spazio e una modalità di incontro con il Sé.

Il laboratorio desidero sia un momento di incontro aperto a tutti coloro che sentono il desiderio di creare uno spazio dentro di sé per un ascolto da dentro, a partire dai sogni e attraverso l’ARTE come mezzo.

Gli incontri infatti vogliono essere uno spazio-tempo per se stessi, una possibilità di un’esperienza nuova, una possibilità di conoscersi attraverso un punto di vista diverso (sogno), senza aspettativa, senza giudizio, senza obiettivi. Gli incontri si svolgeranno online su piattaforma Zoom il 7 novembre, il 21 novembre e il 5 dicembre 2022 dalle 13 alle 14.

La scelta di uno spazio virtuale è legato al desiderio di  aprire la possibilità a tutti di una connessione con sé partendo dall’inconscio, puntando sulla capacità autoregolatrice della totalità psichica.

Se Conoscere è fare esperienza, fare con le mani, in silenzio, insieme ognuno in se stesso, questi incontri sono spazio-tempo dove Essere.

Parlo di Arte nella sia radice ar- dal sanscrito “andare verso”, ed in senso traslato, adattare, fare, produrre, come mezzo per dialogare con l’invisibile, l’ignoto, l’inconscio e contemplare i messaggi del Sé attraverso i sogni.

Con l’uso dell’arte e dell’immaginazione attiva indiretta, come abbiamo detto, l’io non è messo a confronto con l’inconscio direttamente ma con l’espressione plastica e figurativa di esso e quindi è una via morbida per iniziare ad approcciare al Sé.

Non è necessario avere abilità tecniche o pittoriche in campo artistico ma è sufficiente avere voglia di mettersi in gioco.

Vi saranno date, dopo l’iscrizione via mail, tutte le indicazioni per il materiale occorrente, all’incontro di presentazione è importante arrivare con un quaderno.

Il laboratorio è aperto a tutti dai 21 anni in su, è obbligatoria la prenotazione e presentarsi sulla piattaforma con la videocamera accesa, massimo 7 partecipanti.

Posti limitati, massimo 7 persone, a partire dai 21 anni

Per info costi e iscrizione scrivere a info@francescavioli.it
Link Eventbrite https://www.eventbrite.it/e/biglietti-sogni-e-immaginazione-attiva-420433085677

Dopo l’articolo pubblicato su Green in cui mi si intervistava a proposito dell’Intelligenza Ecologica, per Associazione Speira e in collaborazione con Laboratorio Aperto Parma col Patrocinio del Comune di Parma il 10 ottobre 2022 h 16.30 a Parma in Vicolo delle Asse 5 vi parlerò di Sostenibilità Personale, un titolo volontariamente provocatorio per uscire dalla logica dell’azione che senza un cambio dello stato di coscienza o del modo di pensare porterebbe a riprodurre i medesimi meccanismi.

Parlerò di Sostenibilità personale affinchè possa nascere un’azione consapevole che come dice Latouche parlando di sostenibilità abbia a che fare col senso della vita!

Un secondo appuntamento del medesimo argomento ci sarà in modalità online il 14 novembre dalle 13 alle 14.30 per permettere una più ampia partecipazione a livello nazionale.

https://www.eventbrite.it/e/biglietti-sostenibilita-personale-429639702917

 

 

È stato un anno complesso.

Un anno che ha messo e sta mettendo tutti a dura prova e che ha reso tutti uguali, sembrerebbe, di fronte al virus.

In questo difficile anno, che per Parma doveva essere quello della Cultura, abbiamo visto la Natura manifestarsi in una delle sue forme, la più semplice e invisibile.

Così invisibile, minuscola e semplice da fermarci.

Abbiamo passato mesi difficili di fronte all’ignoto, l’imprevedibile, lo sconosciuto, la malattia e la morte.

Nell’ultimo anno le più profonde e arcaiche paure dell’uomo si sono materializzate a livello mondiale.

Come prima reazione: il panico o la negazione, tipici dei momenti di shock, e, a seguire, il  controllo visibile  tra lockdown e tracciamenti di pazienti positivi e la ricerca della soluzione.

È scattato l’istinto di sopravvivenza e ognuno di noi ha visto di sé quale personale reazione ha avuto di fronte alla portata di questo evento.

Un anno tra la nascita e la morte, un anno ognuno con le proprie Ombre lì di fronte a sé, nude e senza possibilità di compensazione con nessun mezzo esterno.

Un anno che necessita obbligatoriamente una riflessione aperta sull’ineluttabilità della morte e l’accettazione dell’incertezza e un’apertura al dialogo con l’irrazionale.

È il tempo in cui ognuno può far nascere e coltivare questo dialogo con l’”irrazionalizzabile” di Morin, che altro non è se non ciò che non può essere razionalizzato e compreso, l’inconscio personale e collettivo se vogliamo dirlo in termini junghiani.

Fermiamoci un attimo e riflettiamo su questo momento storico: siamo nel mondo dell’iperconnessione  della globalizzazione,  della tecnologia sofisticata e rapida, delle conoscenze  rivoluzionarie  su tutti i campi del sapere.

Ed ecco che irrompe proprio in questo momento il coronavirus: viene dal mondo animale? È causato dal surriscaldamento globale? Ecco che la mente cerca subito di analizzare il problema per risolverlo.

Sorge subito la domanda sul perché e la ricerca delle cause.

Quello che è importante che sentiamo e ascoltiamo è invece ciò che tutti abbiamo riscoperto: la vulnerabilità del corpo e della psiche di fronte all’imprevedibilità della vita.

È allora prezioso chiederci di nuovo chi siamo e riflettere sulla nostra natura umana, sulla nostra relazione con la Natura e sul nostro posto in relazione alla natura stessa.

Abbiamo visto come, se noi ci fermiamo la natura avanza di nuovo, i pesci ripopolano i mari, gli uccellini nidificano dove prima c’erano strade trafficate e questo è stato visibile soprattutto nell’emergenza e in #Io restoacasa di marzo e aprile 2020.

Abbiamo notato come il clima sia tornato più allineato ai ritmi stagionali.

Come possiamo notare ciò che accade fuori, osservando e descrivendo ciò che si vede, così è importante che lo sguardo si volga dentro, affinché osservandosi e ascoltandosi si possa ricercare un nuovo equilibrio, ognuno dentro di sé, prima di agire fuori.

Il rischio è che se l’azione avviene per paura – e la paura è stata una delle prime reazioni generali insieme alla negazione – ci si muova automaticamente senza produrre un’azione legata a una comprensione profonda che porti a un reale miglioramento del disagio e della situazione che si sta vivendo e che rispetti il senso profondo e sistemico di questo momento.

Col lockdown abbiamo sperimentato precarietà (cassa integrazione e chiusure forzate), assenza di socialità (distanziamento sociale e chiusura dei locali), annientamento dell’area del piacere e dell’espressività (arte), eliminazione del contatto fisico e mascherine a limitare la visibilità dei volti. Solo gli occhi a dare voce al cuore, lo sguardo ad esprimere furtivamente al mondo chi siamo.

Ed è da queste condizioni di deprivazione che la creatività è la via d’uscita se essa nasce da un ascolto profondo di sé.

Sì perché il vero cambiamento non avviene cambiando la realtà ma cambiando gli occhi con cui la si guarda dice Proust.

Ognuno di noi avrà letto ciò che è accaduto secondo i propri occhiali, perciò è importante che ognuno possa in quest’anno vedere chiaramente che tipo di occhiali porta e scendere nel profondo di sé e ascoltarsi, riflettere, non agire e ritrovare nuove lenti .

Il problema è proprio non avere una visione sistemica della vita in momenti come questi, in quanto il fenomeno è complesso e necessita non un’azione mossa dall’urgenza, ma di una visione più ampia, macroscopica del fenomeno stesso.

Ora sappiamo di più del virus, ma ancor di più una cosa la sappiamo per definizione: i virus mutano per natura. Il che ci porta a dover rivalutare la nostra prima reazione e, a un anno dall’evento, accogliere in noi la vulnerabilità insita nel nostro essere umani e depositare la necessità di controllare qualcosa di non controllabile che avrà il suo decorso, che farà il suo corso indipendentemente da ciò che noi facciamo e che come iniziato avrà un termine.

È più importante in questo momento, a un anno dall’anniversario, che torniamo a occuparci di noi e delle ombre e paure che in noi si sono manifestate e le emozioni che ci muovono dentro, affinchè sia da noi stessi che possiamo ripartire, virus o non virus, perché la morte è ineluttabile e il dialogo con l’incertezza è la via di questo momento storico, il dialogo con l’inconscio, il dialogo profondo e interiore prima di qualsiasi azione nel mondo.

“Non possiamo risolvere i problemi con lo stesso tipo di pensiero che abbiamo usato quando li abbiamo creati.” – dice Einstein –  e mi auguro che ognuno di noi possa in questo momento collettivo sentire la propria vulnerabilità e la propria forza e abbia il coraggio di attraversare il confine al limite del proprio caos, dentro di sé e trovi la propria via mantenendo quella specificità individuale che ci rende unici.

Da settembre a Parma Centro Transdisciplinare Speira nella figura di Francesca Violi come Hub Host per la sua città ospita U.Lab Hub Parma.

Come tutti gli anni da settembre a dicembre Otto Scharmer del MIT di Boston, i suoi collaboratori e il Presencing Institute sulla piattaforma Edx.org mettono a disposizione il corso online Ulab1x – Leading from the Emerging Future sulla Teoria U, strumento di trasformazione sociale per organizzazioni in ambito della salute, educazione, pubblica amministrazione, finanza, aziende.

Il corso che si articola in diversi moduli è composto di parti visibili individualmente e di pratiche da svolgere in gruppo, questo il motivo per cui partecipare a un Hub è importante e completa l’esperienza del processo a U.

U.Lab Hub Parma e i suoi membri si incontrano nelle seguenti date:

12 settembre h 19.30 presentazione, iscrizione alla piattaforma.

21 settembre dalle 10 alle 13 visione della registrazione del primo live di Otto (diretta del 19 settembre) e intenzione

5 e 6 ottobre dalle 10 alle 17 pratiche di Coaching Circles e SPT (Social Presencing Theater)

19 ottobre dalle 10 alle 13 visione della registrazione del secondo live di Otto (diretta del 17 ottobre) e pratica presencing

16 e 17 novembre dalle 10 alle 17 visione della registrazione del terzo live di Otto (diretta del 14 novembre) e pratiche cristallizzazione e prototipazione

14 dicembre dalle 10 alle 13 visione della registrazione del quarto e ultimo live di Otto (diretta del 12 dicembre) e chiusura del corso

 

Da gennaio U.Lab Hub Parma continuerà l’attività una volta al mese sempre presso Centro Speira in piazzale Santafiora 1 a Parma, con pratiche di Coaching Circles e SPT.

Chiunque sia interessato può partecipare o informarsi, scrivendo a ulabhubparma@gmail.com.

Stay tuned!!!

 

 

Le nuove scoperte nei campi della fisica, della biologia, dell’epigenetica, delle neuroscienze, della psicologia e della psicosomatica, rendono necessario che l’individuo si apra a una nuova visione della vita, del mondo e di se stesso e che il campo dell’educazione e della formazione scolastica e universitaria si adegui alle nuove scoperte, superando il tema dell’iperspecializzazione che approfondisce ma separa, aprendosi a una nuova visone transdisciplinare che sia oltre le discipline stesse e apra tra esse il dialogo. I primi movimenti verso il superamento della disciplinarità sono gli approcci multidisciplinari e interdisciplinari che però rimangono sempre legati al tema dell’oggetto. Il vero punto infatti per una visione transdisciplinare non parte dall’oggetto, ma si occupa del soggetto, in quanto ogni osservazione, ogni parola, ogni percezione è sempre soggettiva e non si può prescindere dall’osservatore.

Per tale motivo la soggettività e la coscienza soggettiva sono il focus di ricerca della transdisciplinarità nel mondo presente.

Maturana infatti dice che un sistema vivente realizza la propria auto poiesi[1] in interazione (accoppiamento strutturale) con un medium o ambiente che è fuori di lui. Perché esista un sistema auto poietico è necessario che esista un ambiente a cui si è interrelati e in scambio. Le possibilità del genere umano di conoscere questo “fuori da me” è solo e soltanto elaborarlo[2], secondo il modo in cui ognuno è fatto, dentro la propria psiche. In altre parole non ho alcuna possibilità di sapere del “fuori di me” all’infuori di quello che mi è consentito dalla mia struttura e dalla mia organizzazione. Esiste dunque una soggettività che ha un modo di funzionare, che si trova immerso in un ambiente e che crea, inventa, costruisce una realtà che continua ad andare avanti per lui, esclusivamente, fintanto che sopravvive.

È dunque importante questo punto in quanto per un nuovo approccio educativo e formativo che decide ci abbandonare la logica dell’obiettività e decide con essa di lasciare andare la gerarchia di trasmissione dei saperi o la valutazione oggettiva, si apre la possibilità non di una trasmissione di saperi asimmetrica e frontale ma di una condivisione di esperienze e testimonianze soggettive del reale che raccontano la soggettività che apprende i saperi e si scambia con gli altri e il mondo, in un processo di conoscenza vivo.

Questa è la grande sfida della transdisciplinarità e dell’educazione alla conoscenza che rispetta la singola differenza del soggetto e ritrova il “multiverso” della fisica nell’infinito manifestarsi nella esistere soggettivo. Come ci ricorda Teilhard de Chardin “ogni uomo è una specie a sé”.

Maturana ci conferma questa visione quando parla di sistema autopoietico[3] di I ordine come le cellule o gli unicellulari che non possono essere separati in componenti che siano a loro volta autopoietiche; sistemi di II ordine tra cui tutti gli esseri viventi e noi, formati da aggregazioni di elementi di I ordine; e apre alla questione dei sistemi di III ordine che dovrebbero essere aggregazioni di organismi e quindi sistemi sociali. I sistemi di III ordine non sono però autopoietici, quindi per esempio l’intera umanità, non è autopoietica, ma il singolo individuo sì. Un pianeta con la biosfera quale la Terra potrebbe essere un sistema del IV ordine, auto poietico o non?.

Maturana continua parlando degli esseri umani riporta l’attenzione sui limiti della comunicazione, in quanto la soggettività e le sensazioni, le percezioni e i vissuti soggettivi connotano la realtà. Per esempio, il colore viola di un maglione per un soggetto può suscitare determinate sensazioni, mentre per un altro una differente o addirittura la stessa sensazione può essergli attivata da un altro colore, tipo il “verde”. Quindi quella sensazione soggettiva legata al “viola” non è trasmissibile in alcun modo, né possiamo confrontare i nostri modi di “provare” e “sentire” il color viola. Quello che gli esseri umani possono fare, continua Maturana, è trovare un accordo comportamentale. L’accordo comportamentale o coordinamento comportamentale non significa essere d’accordo perché è possibile che tra A e B si coordini una litigata, il coordinamento è frutto dell’incontro tra i soggetti che portano la propria soggettività ed ogni incontro è una sintesi nel qui ed ora di quei soggetti.

Quindi diventa fondamentale per una nuova visione transdisciplinare un approccio soggettivo che lasci spazio all’incontro esperienziale tra le soggettività con le loro singole competenze e conoscenze formative, ma soprattutto col proprio bagaglio umano da cui nessuna soggettività può prescindere. Una nuova università  e scuola che metta al centro il micro, l’uomo, la singola esistenza e un lavoro profondo e interiore di recupero di sé nelle tre dimensioni mente emozione e corpo[4] e in cui non siano i saperi a incontrasi ma le soggettività con i loro saperi e possano auto osservare se stesse nel proprio essere e in quel esperienza evolvere e modificarsi.

Uno nuova visione transdisciplinare ha come premessa, detto ciò, una sana ignoranza di partenza – nel senso di quel “non so” che permette la nascita della domanda –  che ricordi a ogni individuo che ciò che può conoscere è la propria soggettività ed essere testimone del proprio divenire e delle proprie azioni nel mondo.

Nella saggezza del Conosci Te Stesso e dell’Intelligenza del Cuore ritroviamo questo essere testimone di sé e conoscendo sé è possibile una scelta e un’azione consapevole nel mondo, conoscere sé è infatti riconoscere di essere inseparabili da un mondo da una natura da un universo, dagli altri e trovare quel apertura della mente, del cuore e della volontà che restituisca il senso dell’esistenza personale e di una coordinazione ritmica come una danza nell’incontro con l’altro e col mondo e che nel presente respiri il futuro che emerge.

Poter far ciò implica aprire un dialogo interiore con la morte, l’ignoto e l’incerto e rimanere aperti, osservare e interrogarsi senza chiudersi in risposte rassicurative che sarebbero i nuovi limiti al nostro divenire.

Un’altra questione è quella del linguaggio che se ritorniamo all’abbandono di una possibile obiettività non avrà più una funzione denotativa ma connotativa, in quanto non denoterà qualcosa di esterno (oggettivo) ma connoterà sempre qualcosa di interno (percezione, sensazione, emozione) con funzione orientante. Nel coordinamento comportamentale noi esseri umani utilizziamo il linguaggio e un linguaggio transdisciplinare non può essere un linguaggio specializzato, ma un linguaggio simbolico[5] che connoti l’interno, un nuovo linguaggio che possa essere appreso tramite esperienza, con pratiche che con il minimo stimolo[6] aprano a insight (mente) e stupor (cuore) interni e nuovi coordinamenti comportamentali (azioni) nel hic et nunc dell’esperienza.

Questo nuovo linguaggio simbolico è appreso tramite pratica e ha la propria base nell’apprendimento tramite esperienza (il fatto di poter concepire l’idea di spazio per esempio nasce dalla possibilità di muoversi ed esperire tramite il movimento; lo spazio è un prodotto del movimento, quindi astrazione, concetti, idee partono da un’esperienza vissuta) che può avvenire tramite esperienze corporee e tramite l’immaginazione[7].

 

Non vi è nulla di più universale della soggettività.

 

 

 

 

 

 

Note
[1] Autopoiesi dal greco poiesis che significa “produzione”, “auto prodursi”, componenti e relazioni riproducono costantemente componenti e relazioni ed emerge un processo di tipo riflessivo.
[2] Recupero visione fenomenologica.
[3] Per organizzazione auto poietica o sistema vivente autopietico si intende un sistema che ha componenti le quali hanno fra di loro delle relazioni tali che consentono di riprodurre attraverso queste stesse relazioni sia le componenti del sistema sia le relazioni che lo tengono insieme, ossia sono organizzazioni per cui in un sistema le relazioni che legano le componenti e le componenti stesse sono in grado di riprodurre a loro volta componenti e relazioni. (Autopoiesi e Cognizione di Maturana)
[4] La coscienza è una coscienza profondamente incarnata in un corpo (embodiement) che ha livelli di percezione, esperienze e vissuti
[5] Il simbolo in particolare ha un effetto neghentropico sul sistema (Ecobiopsicologia, Frigoli), riportando il sistema che tendenzialmente tende ad un aumento di entropia, in equilibrio e in esso coesistono  A e non-A (logica del terzo escluso), il simbolo tiene infatti insieme gli opposti ed è sovraordinato e transculturale, collettivo, universale. (Dal segno al simbolo di Laszlo, Frigoli, Biava)
[6] Articolo Il Principio minimo stimolo nella dinamica dell’organismo vivente di Del Giudice e Tosi “Non è importante l’intensità dell’apporto energetico od emotivo quanto invece la coincidenza tra la frequenza di oscillazione dello stimolo e la frequenza propria di oscillazione dell’organismo. Se questa coincidenza si verifica si crea una relazione di risonanza dominante rispetto alle oscillazioni spurie”. La connessione del principio del minimo stimolo con le dinamiche della fisica quantistica e in particolare con l’esistenza del vuoto consentono di trovare una base razionale alle terapie non convenzionali discusse all’inizio di questo articolo. Infatti la capacità di autoregolazione e autoriparazione dell’organismo fa parte della sua capacità di auto movimento, che abbiamo visto essere governata dall’esistenza di un regime coerente. L’esistenza di un regime coerente, d’altra parte, come risulta evidente dalla fisica del laser, è resa possibile dall’esistenza di un ampio “reservoir” di piccole oscillazioni esterne capaci di oliare, di lubrificare l’accesso alla condizione di risonanza. Una delle risonanze importanti nel processo terapeutico è quella tra l’organismo del terapeuta e l’organismo del paziente; risonanza non soltanto mentale ma anche corporea. Attraverso la comune connessione con il corpo del terapeuta, ipoteticamente capace di autoregolazione , le parti energeticamente dissonanti del corpo del paziente possono essere aiutate a riacquistare una coerenza. Allo stesso modo un aiuto è fornito dall’esistenza di un vasto serbatoio di oscillazioni luminose, acustiche, meccaniche (movimenti leggeri e quindi il tocco), mentali (e quindi la parola) e così via. Analizziamo in particolare la dinamica indotta dall’uso della parola. La parola , essendo ambigua, si rivolge contemporaneamente sia all’Io che al’Es, sia al pensiero primario che al pensiero secondario. Se la parola resta nell’ambito del razionale, lo scambio, per quanto profondo e illuminante, coinvolge soltanto l’Io. Se invece la parola mantiene l’ambiguità originale, come ad esempio nella poesia o nella metafora, penetra nel profondo e può portare ad intuizioni di guarigione, fondate sulla risonanza tra Io ed inconscio. Infine bisogna mettere in rilievo la possibilità di risonanze tra eventi lontani nello spazio e nel tempo. Possiamo quindi comprendere la profondità delle intuizioni e delle osservazioni di  Anne Ancelin Schϋtzenberger sulla possibilità che  eventi accaduti a secoli di distanza  abbiano effetti su soggetti purchè essi conservino un legame emotivo con essi. Uno di questi eventi importanti per la vita di un soggetto può essere proprio la sua connessione emotiva risonante con una esperienza positiva avvenuta alla nascita quale è il minimo stimolo del tocco leggero proposto da Eva Reich. Attraverso questo tocco leggero (massaggio a farfalla) si stabilisce il ponte risonante del nuovo nato con la madre e più in generale con la sua genealogia, mediatrice del rapporto con l’intero genere umano.
[7] Neuroni Specchio (Rizzolatti e Gallese) si attivano facendo un’azione tanto quanto vedendola fare da un altro, vedere l’azione o anche immaginarla ha stesso effetto sulle stesse aree.

ATELIER DI RICERCA E PRATICA TRANSDISCIPLINARE

Perché un atelier di ricerca transdisciplinare?

Suggerisce di avere la modestia di riconoscere che il momento in cui viviamo non è quel momento unico, fondamentale o dirompente della storia, in cui tutto finisce o tutto inizia. La modestia di dirci che il momento in cui viviamo è molto interessante e deve essere analizzato, decostruito; quindi dobbiamo porci la domanda: che cosa è il nostro oggi?

Oggi è principalmente un momento di transizione. Facciamo parte della scena. Come soggetti siamo influenzati, ma allo stesso tempo il modo in cui agiamo, ciò che facciamo, le scelte che compiamo determinano il nostro tempo, perché siamo noi stessi ad alimentare e determinare la realtà che ci circonda.

Come possiamo mettere in discussione criticamente i nostri paradigmi? La nostra sfida non è solo quella d’incoraggiarci a rivedere i nostri paradigmi di riferimento attuali e creare nuovi dispositivi, ma anche riconoscere e prendere in carico le nostre stesse rappresentazioni in conflitto, mettendo in discussione ciò che abbiamo ereditato per consentire la trasformazione.

Floreser è uno spazio in cui si incoraggia il pensiero, per far sì che possiamo porci meglio di fronte ai bisogni urgenti e ai progressi accelerati caratteristici di questa era.

E in questo senso, la formazione Floreser ha come punto centrale la costruzione di un pensiero critico, autonomo, che favorisce la capacità di dialogo e promuove atteggiamenti, relazioni e abilità che rivelano quali possano essere le possibili trasformazioni da incoraggiare di fronte alle nuove sfide. In questo modo possiamo avere una visione integrale del Tutto, possiamo metterci in discussione, elaborare, consolidare, dare nuovi significati o costruire un approccio diverso al reale.

All’interno di questa cornice scopriremo che ciò che configura l’uomo è il risultato dell’interazione tra individui, gruppi e società. In un certo modo questa interazione è l’espressione della nuova situazione sociale. Allora dobbiamo approfondire questa interazione perché è da qui che ogni individuo parte per porsi domande sul contesto/realtà, che è il “testo” del loro apprendimento (cosa viene domandato/chiesto, come viene domandato/chiesto?).

Saperi che si incontrano

La conoscenza senza precedenti dei saperi del nostro tempo rende legittimo l’adattamento delle mentalità a questi saperi che porta a un linguaggio disciplinare specifico e a organizzazioni chiuse rispetto alla conoscenza. Ciò non premette una vera comprensione della complessità del fenomeno umano e della vita.

Una prima risposta alla necessità posta dalla complessità è l’approccio multidisciplinare che concerne lo studio di un oggetto di una singola disciplina all’interno di più discipline diverse allo stesso tempo. Per es. posso studiare un quadro di Giotto da un punto di vista chimico, fisico, storico, letterario, antropologico, psicologico, etc… l’oggetto risulta così arricchito dagli incontri di più discipline, ma questo arricchimento rimane a servizio esclusivo della disciplina.

C’è poi un approccio interdisciplinare che risponde a un’esigenza differente della conoscenza, ossia il trasferimento di metodi da una disciplina a un’altra. Anche l’interdisciplinarità supera i confini della disciplinarità ma la sua finalità resta nell’ambito della singola ricerca disciplinare.

La transdisciplinarità attiene invece a ciò che è insieme dentro le singole discipline, attraverso le differenti discipline e al di là di tutte le discipline. La sua finalità è la comprensione del mondo presente, di cui uno degli imperativi è l’unità della conoscenza.

Disciplinarità e transdisciplinarità sono complementari. Disciplinarità, multidisciplinarità, interdisciplinarità e transdisciplinarità sono le 4 frecce di un solo arco della conoscenza volto a comprendere il senso della vita e del mondo.

Perché offriamo questa formazione?

Alcune tecnologie sociali funzionano molto bene nelle mani di alcuni professionisti, ma in altri casi l’applicazione degli stessi strumenti non porta a cambiamenti significativi. Perché gli stessi strumenti sono efficaci nelle mani di alcuni e inefficaci nelle mani di altri? L’essenza della risposta è semplice: la qualità dei risultati prodotti da qualsiasi sistema dipende dalla qualità della coscienza da cui le persone operano nel sistema.

La formula per un processo trasformativo non è “la forma segue la funzione”, ma “la forma segue la coscienza”. La struttura della coscienza e dell’attenzione determinano il percorso lungo il quale una situazione si attua. In questo senso, Floreser è il nostro contributo. In Floreser riconosciamo che siamo responsabili della nostra esperienza.

Consideriamo importante la qualità empatica generata nel lavoro. In altre parole: “L’uomo pienamente realizzato è qualcuno in cui le porte della percezione sono state purificate”; Questa è la capacità di vedere le cose come sono, libere dalle influenze del desiderio egoistico, dall’avversione, dall’ignoranza e dalla paura.

Floreser si articola in 3 anni: 3 livelli; 9 incontri residenziali esperienziali per anno e approfondimenti teorici online su piattaforma dedicata. due livelli base più uno avanzato.

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