FESTIVAL DELLA COMPLESSITA’ 2024

LA COMPLESSITA’ IN PRATICA: VIVERE, DECIDERE, AGIRE.

 

IL FILO DEL SE’. COMPLESSITA’ E NARRAZIONE

di Francesca Violi

 

«Attraverso la vita si deve arrivare alla narrazione»
Luigi Zoja

Apro con questa citazione di Zoja, psicoanalista e sociologo italiano, che a mio avviso sintetizza pienamente come la narrazione sia un frutto della vita stessa.

Il Festival della Complessità, in questa edizione ha come tema La complessità in pratica: Vivere, Decidere, Agire. Per le mie relazioni e articoli mi sono ispirata al vivere, alla vita che è per me l’unica vera maestra, attraverso la quale noi ne possiamo sperimentare e comprendere la complessità.

Definiamo per iniziare il termine “Complessità”, che deriva da Complector: etimologia: dal latino cum  e plèctere ovvero intrecciare, tessere insieme. Mauro Ceruti ci dice: «Complessità deriva dal verbo latino plectere, che vuol dire intrecciare, unito alla preposizione cum. Potremmo dunque dire che complesso è qualcosa di intrecciato più volte. Complessità evoca una pluralità di componenti, ma anche un’idea di unità: è quasi un ossimoro».

Le parole di Ceruti,  filosofo protagonista dell’elaborazione del pensiero complesso, ci presenta il tema dell’unicità e della pluralità, dell’unità e della molteplicità, delle multidimensionalità dei sistemi complessi, dei sistemi viventi.

Termini quali tessuto, intreccio, tessere, intrecciare, sono parole anche della narrazione, parole della vita.

In un mio articolo in Materia Prima  (dicembre 2023) dal titolo Tessuti. Essere forma nel tempo. Scrivo: «La narrazione della propria storia è «tessuto» in cui si intrecciano trama e ordito. È «tessuto» come participio passato di tessere, di una forza vitale che dà forma alla materia».

È allora  che nella narrazione della nostra storia biografica, nella soggettività e nell’unicità di ognuno di noi che si racconta e si narra è possibile ritrovare la complessità del mondo, della natura, della vita.

Ma che differenza c’è tra Narrare e Comunicare?

Per Watzlawick, la comunicazione è un processo in cui gli individui scambiano informazioni e significati attraverso diversi canali, tra cui il linguaggio verbale e non verbale. Watzlawick ci ricorda che è impossibile non comunicare.

Duccio Demetrio ci dice: «Se il narrare qualcosa è tale quando si conferisca un ordine logico a sequenze di eventi dotate di senso compiuto, (…) il solo comunicare nella sua accezione trasmissiva, può limitarsi al mero trasferimento di informazioni, che possono fornire elementi in sequenza o in simultanea (…) Narrare è invece un atto di volontà, che aggiunge qualcosa all’atto di comunicare.»

La narrazione si arricchisce di elementi salienti emotivi, di viva esperienza  e di corporeità.

Vediamo allora come la narrazione sia alla base del nostro sviluppo umano e come la frase inziale di Zoja trovi conferma nelle parole di Daniel Stern, psichiatra e psicoanalista statunitense, fra i principali studiosi nel campo dello sviluppo psicologico infantile.

Secondo il modello di Stern, già nei primi mesi di vita il bambino si rapporterebbe attivamente alla realtà ricavando, dalle precoci e isolate stimolazioni sensoriali che riceve, un emergente senso di sé che andrebbe a strutturarsi e consolidarsi negli anni successivi all’interno della relazione con la madre.

Per il bambino, il corpo è il primo punto della conoscenza di sè. 

    1. SÈ EMERGENTE
      Dalla nascita fino ai 2 mesi, il senso del sé deriva dal collegamento di esperienze isolate relative al corpo, alle azioni e dell’esperienza che il bambino fa di tale processo.
    2. SÈ NUCLEARE
      Dai 2 ai 7 mesi, occorre che il bambino compia una serie di esperienze, si sperimenta autore delle proprie azioni, si sente come un entità fisica interna, sperimenta stati interni e in sintonia con l’adulto, sperimenta il senso della durata e della memoria.
    3. SÈ SOGGETTIVO
      Dai 7 ai 15 mesi, il bambino scopre che l’altro ha sentimenti, motivazioni, oggetti e intenzioni. Quando scopre che anche gli altri possono avere uno stato emozionale simile al suo è in grado di sperimentare l’intersoggettività; questo riguarda 3 aree dell’esperienza: compartecipazione dell’azione, compartecipazione delle interazioni, compartecipazione degli stati affettivi.
    4. SÈ VERBALE o NARRATIVO
      Dai 15 ai 18 mesi, acquisizione del linguaggio, il senso del sé e dell’altro acquista nuove caratteristiche.

Con la conquista della posizione eretta e la liberazione della mano, il bambino inizia e mettere insieme significati e a dire piccole frasi di senso che via via col crescere dell’età diventano sempre più articolate.
A due/tre anni, passa poi dal parlare in terza persona a dire “Io” e da quel momento avrà inizio la sua storia soggettiva, da quel momento ha inizio la sperimentazione in ognuno di noi di quell’ossimoro che diceva Ceruti: essere unici e molteplici.

Duccio Demetrio ci parla infatti di molteplicità dell’Io narrante: «Una storia individuale non sussiste pienamente se non può essere messa nelle condizioni di raccontarsi e di entrare in risonanza con le storie degli altri. Ciascuno di noi è le molteplici storie con le quali è, o è stato in contatto.»

Sebastian Seung, in accordo con Demetrio, ma utilizzando un altro linguaggio, direbbe: «Noi siamo in nostro connettoma, ossia la mappa comprensiva delle connessioni neurali nel cervello, costruita su base relazionale ed esperienziale e i connettomi si modificano nel corso della vita a seconda delle esperienze e degli accadimenti che per ognuno di noi sono diversi»

E ultimo, ma non ultimo per quanto riguarda la complessità, Gregory Bateson, rispenderebbe così: «Noi apprendiamo per storie. (…) Siamo tutte le storie che abbiamo incontrato e interpretato (…) Siamo i nostri racconti e non possiamo che raccontarci di continuo.»

Allora è l’esperienza, l’apprendere dall’esperienza, dalla relazione ciò che ci dà forma.

Ma cosa intendiamo per esperienza?

Il vissuto è il modo naturale e diretto di vivere nell’orizzonte del mondo.  L’esperienza prende forma quando il vissuto diventa oggetto di riflessione e il soggetto se ne appropria consapevolmente per comprenderne il senso. C’è esperienza quando si attribuisce senso a ciò che accade.

Quindi l’esperienza è profondamente radicata nella consapevolezza, come la coscienza nella vita.

Non aprirò qui il capitolo coscienza e vita, che sarà tema della mia relazione al Convegno di San Marco D’Alunzio, il 28-29 giugno dal titolo Vivere e Comprendere.

Vi lascio con questi spunti di apertura e riflessione e rimango a disposizione per ulteriori approfondimenti, curiosità o per uno scambio alla mail ilfilodelse.bio@gmail.com

Per Info e prenotazioni: ilfilodelse.bio@gmail.com